Già nel secondo articolo di questa rubrica, apparso sul quinto numero del Punto, avevo trattato il tema del potere nelle sue diverse tipologie, attraverso vari esempi tratti da film celebri. Ora vorrei approfondire l’analisi di questo fenomeno, concentrandomi sulle caratteristiche del legitimate power ed evidenziando in particolare quali sono i fattori che possono rafforzarlo o indebolirlo, fino a farlo scemare del tutto nei casi più estremi. Le altre forme di potere, come il reward power, il coercive power, l’expert power e il referent power, funzionano perché garantiscono un beneficio, di natura materiale o emozionale, agli individui che ne sono soggetti, i cosid- detti target, quando questi adeguano il loro comporta- mento ai desideri dei detentori di potere, che sono chia- mati agent.
Differentemente, l’efficacia del legitimate power deriva dal fatto che i target sono portati ad obbedire all’agent non perché si aspettano un beneficio, ma perché ricono- scono il suo diritto ad eserci- tare tale potere nei loro con- fronti. Tale diritto è sancito e approvato dalla comunità cui il target appartiene, per cui egli sarà indotto a confor- marsi ai comportamenti degli altri membri perché in que- sto modo si sente più inte- grato e soddisfa il suo biso- gno di socialità. Non a caso, le caratteristiche e i limiti del legitimate power variano fortemente a seconda del contesto sociale nel quale si sviluppa, tanto che, in passato, l’entità del legitimate power che veniva riconosciuto all’interno delle strutture so- ciali era molto maggiore ri- spetto agli standard occidenta- li attuali. Questo cambiamen- to sociale è evidenziato sa- pientemente ne “Il nastro bianco” di Michael Haneke, che racconta la vita di un vil- laggio tedesco ai primi del Novecento, governata da con- venzioni sociali fortemente intrise di violenza, che fanno sì che i figli accettino qualsia- si tipo di violenza, anche ses- suale, perpetrata dai padri, che le donne non reagiscano ai soprusi dei loro uomini, che i contadini si rassegnino di fronte alle ingiustizie del ba- rone, anche quando provoca- no la morte di una loro donna. Una forma di legitimate power così assoluta determi- na, specie nel lungo periodo, forme di disumanizzazione che, come suggerisce il film, sono state alla base dell’emer- gere del nazismo.
Ciò non significa che il legiti- mate power sia necessaria- mente dannoso, anzi esso rap- presenta uno strumento indi- spensabile per il coordina- mento interno dell’organizza- zione, perché migliora l’effi- cienza decisionale, agevola la gestione dell’incertezza che affligge le diverse attività aziendali, favorisce la risolu- zione dei conflitti che avven- gono tra i target e facilita il monitoraggio dei loro com- portamenti, riducendo l’insor- gere del free-riding. L’effica- cia del legitimate power come strumento di coordinamento è mostrata in maniera esemplare nella saga de “Il padrino” di Francis Ford Coppola, nella quale il capoclan, prima Vito Corleone (Marlon Brando/ Robert De Niro) e poi suo figlio Michael (Al Pacino), riesce a gestire la loro orga- nizzazione mafiosa proprio grazie al riconoscimento della sua autorità da parte dei membri della famiglia. Ciò gli permette di realizzare un’adeguata definizione del potere posizionale, ossia del potere associato alle singole posizioni della struttura or- ganizzativa; non a caso, non appena nominato padrino, nel primo film della saga, Michael definisce compiti e responsabilità dei diversi membri, escludendo anche alcune figure storiche della famiglia. Questa forma di delega si accompagna ad una centralizzazione delle decisioni strategiche che permette di affrontare in maniera efficace le più im- portanti minacce e opportu- nità esterne; così, nel secon- do film della saga, Michael impone al capo mandamento Camona, che vorrebbe farsi valere contro i nuovi clan di New York, il rispetto di una tregua, in nome dei più alti interessi della famiglia di cui solo il padrino ha piena co- scienza. Il legitimate power permette a Michael di risol- vere i conflitti tra i membri dell’organizzazione, ma so- prattutto quelli che coinvol- gono i suoi fratelli, di cui monitora costantemente i comportamenti, onde evitare che possano mettere a ri- schio la sua autorità. In que- sto senso, tutta la saga de “Il padrino” può essere letta come un’analisi delle modalità con cui si impone il legitimate power all’interno di un’organizzazione, anche se i metodi utilizzati dal pa- drino non sono, fortunata- mente, gli stessi usati dalla generalità dei dirigenti. Tutta- via, si possono riscontrare alcune somiglianze tra tali metodi, ad esempio nell’im- portanza attribuita ai riti che rafforzano l’autorità, che van- no dal “baciare le mani” dei mafiosi agli status symbol dei manager.
L’importanza dei riti come strumento di riconoscimento e rafforzamento del legitimate power è uno dei temi centrali de “La presa del potere di Luigi XIV” di Roberto Ros- sellini, nel quale si racconta, con un taglio quasi documen- taristico, l’acquisizione del potere assoluto da parte del Re Sole (Jean-Marie Patte), alla morte del cardinale Ma- zarino. Sconvolto dal ricordo della rivolta dell’aristocrazia, la cosiddetta Fronda, che lo costrinse da bambino a fuggi- re dal Louvre, nonché dall’e- co della Rivoluzione inglese, in cui il re venne addirittura decapitato, Luigi XIV decide di mettere un freno alla nobil- tà, allontanandola dalle fonti di ricchezza e rendendola del tutto dipendente dalla Corona. In questo senso, egli costrui- sce un insieme di riti sfarzosi che trasmettano il senso dell’- autorità regale, ma che, nel contempo, diano modo ai nobili di sfogare il loro desi- derio di primeggiare, attraver- so la partecipazione attiva, e dispendiosa, alla vita di corte. Di fatto, attraverso questi riti, il Re Sole svuota il potere della nobiltà, inducendola oltretutto ad impoverirsi e a doversi legare più strettamen- te alla Corona. L’uso consape- vole dei riti garantisce quindi un rafforzamento del legitima- te power, ma non sempre la loro presenza garantisce un effettivo potere reale. Ne sa qualcosa il povero ragioniere Ugo Fantozzi (Paolo Villag- gio) che, in “Fantozzi alla riscossa” di Neri Parenti, vie- ne nominato ai vertici della sua vecchia azienda e vede via via aumentare i titoli della sua carica e gli status symbol con- nessi. Quando si ritroverà “Dott. Ing. Lup. Man. Presi- dent. Natural. Prestanom. Om. di Pagl. Gran. Test. di Cazz.”, con connesso abito papale, cocchio a due pariglie bianche con lacchè e diritto al potere temporale, capirà di essere stato preso solo come presta- nome per coprire le responsa- bilità dei vertici nella banca- rotta della società.
Questo esempio evidenzia come il potere posizionale da solo non sia sufficiente a garantire una reale autorità; perché sia efficace, è neces- sario che esso venga abbinato al potere personale dell’in- dividuo, che è legato princi- palmente alle sue competenze e al suo carisma. Non a caso, in “Bianca” di Nanni Moretti, gli studenti della scuola Mar- ylin Monroe cercano di mina- re l’autorità del professor Michele Apicella, interpreta- to dallo stesso Moretti, te- standone le competenze fin dal primo giorno di lezione. Quando non opporrà che il silenzio alla domanda sulla spiegazione matematica del perché la somma delle righe e delle colonne del quadrato magico, raffigurato ne “La melancolia” di Durer, dia sempre 34, egli perderà buo- na parte del suo legitimate power nei confronti degli studenti, rischiando di finire come il professore di italia- no, che viene continuamente deriso dalla classe. Queste forme di delegittimazione rischiano di essere più forti quando gli stessi target de- tengono un certo potere posizionale; ciò avviene generalmente in tutte le or- ganizzazioni, perché il mec- canismo di delega fa sì che, specialmente coloro che sono preposti allo svolgi- mento di attività critiche, abbiano a disposizione tale potere. Quando questo pote- re posizionale è rafforzato da forti competenze e da una certa consapevolezza di sé, come avviene per gli orchestrali di “Prova d’or- chestra” di Federico Fellini, è necessario che venga defi- nita un forte legitimate power per garantire che tutti adottino comportamenti in linea con gli obiettivi dell’- organizzazione. Infatti, tutto il film analizza il problema del riconoscimento di tale potere da parte degli orchestrali, i quali prima disconoscono l’autorità e le competenze del direttore, poi istituiscono una sorta di anarchia, quindi si fanno dirigere da uno strumento di sicura competenza, un metronomo gigante. Solo alla fine, di fronte all’emergenza e alla minaccia della distruzione, gli orchestrali accetteranno nuovamente l’autorità del direttore, che a quel punto assumerà un inquietante accento tedesco…