Non avremo mai una seconda possibilità di fare una buona prima impressione. Fortunatamente, come vedremo, questo vecchio detto è solo parzialmente vero. Vero però è che i primi 30 – 180 secondi di una qualunque relazione possono avere un peso determinante sul modo in cui la relazione stessa si evolve. Quindi concentriamo in questo ristretto lasso di tempo tutta la nostra “potenza di fuoco” in termini di risorse cognitive, emozionali, empatiche.
Daniel Kahneman, professore emerito di psicologia ad Harvard, premio Nobel per l’economia nel 2002 per i suoi studi sui processi di decisione, ha sviluppato l’idea, peraltro già presente in letteratura, dei “due sistemi” mentali. Non si tratta di sistemi in senso fisico, ma solo in senso funzionale: è una schematizzazione che aiuta a capire meglio i due meccanismi, che Kahneman definisce anche “pensiero veloce” e “pensiero lento”, che presiedono ai nostri processi di decisione.
Il sistema 1 è intuitivo, emozionale, veloce. Opera automaticamente senza sforzo apparente e senza controllo volontario. Il sistema 2 è razionale, basato sulla logica e sul calcolo, è in grado di risolvere problemi complessi e di allocare le risorse mentali alle diverse attività che le richiedono.
Noi ci “identifichiamo” con il sistema 2, ma il sistema 1 è sempre attivo e fornisce un flusso continuo di impressioni e sensazioni che diventano poi la base delle credenze e delle scelte esplicitamente elaborate dal sistema 2. Noi crediamo di essere razionali, ma le nostre decisioni sono comunque basate su una esperienza del mondo costruita in gran parte dal sistema 1.
La prima impressione è in gran parte un prodotto del “sistema 1” come ha dimostrato un esperimento condotto presso la Cornell University dal Prof. Brian Wansink, psicologo dell’alimentazione. L’esperimento ha riguardato due gruppi di persone con caratteristiche socio-demografiche comparabili. Ai due gruppi è stato servito un pasto identico per qualità e quantità, ma con qualche differenza nella presentazione.
Al primo gruppo il pasto è stato introdotto da un menu che recitava testualmente quanto segue:
Menu del giorno
– Insalata verde
– Filetto di pesce
– Patate
– Dolce al cioccolato
– Vino: Toscano rosso
Le portate sono state servite in normali piatti rotondi di porcellana bianca, su tovaglia di carta, con tovaglioli di carta e bicchieri di plastica.
Il secondo gruppo ha ricevuto invece il seguente menu:
Le proposte dello Chef
– Insalata croccante con verdure di stagione e aceto balsamico
– Filetto di orata agli agrumi
– Pommes au gratin con salsa alla francese
– Dolce al doppio cioccolato belga “Black Forest”
– Vino: Merlot Gran Riserva Conti di Valbranca DOCG
Per il cibo vennero usati in questo caso piatti di grandi dimensioni e di forma quadrata; il vino venne servito in bicchieri di cristallo a calice. Il tutto su tovaglia di stoffa, con tovaglioli di stoffa in tinta, addobbo floreale e candele.
Il primo gruppo valutò il cibo ricevuto mediamente al livello di un “fast food”; qualcuno addirittura appena commestibile. Il secondo gruppo, invece, ritenne il cibo di alta qualità, a livello gourmet.
Il risultato di questo esperimento indica con chiarezza che la prima regola per una buona prima impressione è quella di “corrispondere alle aspettative” della controparte. Quindi, se siamo a un incontro di affari, concentriamoci nell’offrire un’immagine conforme alla circostanza. Se ci presentiamo per la prima volta a un pubblico per un seminario, una conferenza, ecc., sforziamoci di offrire un’immagine corrispondente al tipo e al contenuto della presentazione.
È importante acquisire consapevolezza dei diversi canali sensoriali, curando gli impatti visivo, uditivo, olfattivo e tattile (la stretta di mano fatta nel modo giusto, il tocco lieve su una spalla o su un braccio, ecc.). Il più importante è certamente quello visivo: quasi il 25% del cervello umano è coinvolto nell’elaborazione dei segnali visivi, ci sono più recettori di senso nei nostri occhi che nel resto del corpo. D’altra parte noi comprendiamo il mondo soprattutto attraverso le immagini, e non è sorprendente che le immagini siano usate a profusione da tutti coloro che fanno della persuasione un mestiere, dalla pubblicità ai regimi autoritari. Al secondo posto si può collocare l’udito, anche questo essenziale nei processi di comunicazione che coinvolgono il linguaggio, in grado di provocare emozioni (positive e negative). Il tatto è un senso complesso, i cui recettori sono distribuiti su tutto il corpo, ma sono più numerosi in alcune zone, che risultano perciò più sensibili. Il tatto può generare dolore, piacere, fastidio; è un potente segnale sociale, perché nella primissima infanzia costituisce il primo elemento di comunicazione. Questo gli conferisce significati particolari che spesso lo rendono ambiguo (una stretta di mano trattenuta troppo a lungo ci imbarazza). Molte ricerche hanno dimostrato che un lieve e non intrusivo contatto fisico ha un effetto generalmente positivo sul risultato di una relazione. Naturalmente, ci sono regole strette, fortemente dipendenti dal contesto socio-culturale.
L’olfatto è “l’angelo caduto” dei nostri sensi. Quando l’evoluzione ci ha trasformati in bipedi, allontanando il nostro naso dal terreno, l’olfatto ha iniziato a perdere peso nella gerarchia dei sensi … ma non nell’impatto emotivo. Infatti, i nostri bulbi olfattivi fanno parte del sistema limbico, la parte più profonda e primitiva del cervello. Poche sinapsi separano il nostro naso dall’amigdala e dall’ippocampo, conferendo all’olfatto una straordinaria influenza sul sistema 1 e sulle emozioni. Perciò, mentre riusciamo a resistere alla vista di un oggetto “brutto”, un cattivo odore è insopportabile e ci mette in fuga. Allo stesso modo i “buoni odori” sono irresistibili. Sappiamo, ad esempio, che un leggero aroma di limone aumenta la soddisfazione dei clienti nei ristoranti di pesce, che un ricco e profondo profumo di pelle rende piacevole l’interno di un’automobile di lusso, e che un sottile profumo di pane caldo e biscotti appena sfornati seduce i potenziali compratori di un appartamento. Molti odori influenzano le nostre reazioni anche se non sono percepiti a livello cosciente: quindi… attenzione!
Infine il gusto, importante, perché stimola la sintesi di alcuni neurotrasmettitori e può quindi determinare un particolare senso di appagamento e benessere. Difficilmente interviene direttamente in una relazione interpersonale, a meno che questa non si spinga a livelli molto intimi. Però può avere un’influenza indiretta. Non è un caso, infatti, che molte transazioni d’affari vengano trattate nell’ambito di colazioni di lavoro, o che alcune relazioni sentimentali abbiano inizio intorno al tavolo di un ristorante. Si sfrutta in questo caso un particolare effetto cognitivo per cui la piacevole sensazione stimolata dal gusto viene estesa alle persone e alla conversazione, generando un’atmosfera favorevole alle relazioni.
Per rompere il ghiaccio, o per essere non banali in fase di presentazione, impariamo a proporre un complimento adeguato alla situazione. Tutti sono sensibili ai complimenti, senza eccezioni: però non agli stessi complimenti. E non c’è forse gaffe peggiore di quella di proporre il complimento sbagliato. La regola cui attenersi è una sola: formulare, in positivo, un commento che non sia chiaramente smentito dai fatti e che stimoli la “ricerca interna di significato”. Vediamo qualche esempio.
Veniamo presentati a un dirigente importante su cui desideriamo “fare impressione”. Proporre un complimento del tipo: “Che magnifici occhi che hai …” non solo è sconveniente, ma può farci cadere per sempre in disgrazia. Molto meglio: “Oggi ti trovo in grande forma …”. In questo caso lascio a lei/lui l’interpretazione e ne sarà comunque soddisfatto/a, anche se non è vero: magari ha dormito poco e ha le occhiaie, però pensa: “meno male, non si vede …”; oppure ha la pancia, ma pensa: “bè, in fondo non si vede che sono ingrassato/a …”. E se invece è un frequentatore di palestre o un fanatico del jogging penserà “Non è fatica sprecata …”.
Se è il caso possiamo complimentarci per una presentazione o un discorso (“… di grande efficacia, capita di rado di sentire …”), oppure genericamente per il portamento (“… stavo notando come si muove, sembra molto sicuro/a di se!”).
Se l’obiettivo è il flirt, possiamo variare con “… ho notato come si muove, è veramente elegante!”. Oppure scegliamo un attributo degno di nota e dimostriamoci colpiti “… guardavo le sue mani, impossibile non ammirarle!”: anche se qualche centinaio di persone hanno già detto la stessa cosa, il complimento farà, a maggior ragione, ancora effetto. Volendo, possiamo essere anche più generici, lasciando a lei/lui l’interpretazione: “… l’ho notata subito, si capisce che è una persona che non passa inosservata!”.
Se l’incontro iniziale avviene in una qualunque occasione sociale, è inutile e controproducente cercare di rimanere “appiccicati” al nostro target. Ricordiamo che il “sistema 1” è sensibile alla fase iniziale, alla fase finale e ai picchi emozionali intermedi (positivi o negativi che siano). Limitiamo quindi le interazioni a quando abbiamo effettivamente qualcosa da dire in grado di colpire la fantasia, le emozioni, i sentimenti del nostro interlocutore.
Fortunatamente non esiste una sola prima impressione. Se siamo consapevoli che il primo impatto con il nostro target non ha prodotto l’effetto desiderato, è bene non tentare un nuovo approccio a poca distanza di tempo. Lasciamo trascorrere un ragionevole intervallo e inventiamo una nuova occasione di incontro presentandoci però in un’ottica sufficientemente diversa. È anche opportuno modificare il contesto per evitare che questo generi un effetto di “ancoraggio” delle sensazioni, contribuendo a far rammentare ed eventualmente a rafforzare gli aspetti negativi della prima impressione. Analizzando con attenzione ciò che è andato storto dovremmo essere in grado di modificare il modo in cui ci siamo proposti, il tipo di approccio, lo stile di comunicazione, gli argomenti di conversazione, la tempistica, il linguaggio del corpo in modo da creare una maggiore sintonia. La “seconda impressione” non ha la forza e l’immediatezza della prima, ma se ci impegniamo può porre le basi per un buon recupero alla distanza.
Un consiglio finale: la preparazione. Curiamo l’aspetto e riflettiamo sulle cose da dire, su come dirle e sull’atteggiamento generale da tenere tenendo conto della personalità del target. Insomma, definiamo una strategia per la prima impressione. Una tecnica che viene utilizzata in diversi contesti è quella della “virtualizzazione”. Si tratta di visualizzare mentalmente l’incontro che stiamo per avere simulando nella nostra testa i possibili scenari. È bene fare questo esercizio con assoluta concentrazione, respirando in modo calmo e profondo. Al termine, prima di “tornare alla realtà”, facciamo un ultimo esperimento. Collochiamoci, sempre virtualmente, di fronte al nostro target e “invertiamo le parti”: immaginiamo di entrare nella sua testa e di guardare noi stessi, vedendo, sentendo e percependo ciò che pensiamo vedrebbe, sentirebbe e percepirebbe lui/lei; possiamo anche provare a immaginare, in questa situazione di inversione delle parti, l’andamento di una conversazione sugli argomenti che ci interessano. La virtualizzazione è una tecnica comunemente usata nello sport. L’effetto è quello di renderci più tranquilli e sicuri al momento dell’incontro reale.10