Solo il cambiamento è eterno, perpetuo e immortale scrive Arthur Schopenhauer, anticipando a suo modo un concetto con cui si confrontano quotidianamente moltissimi manager d’azienda. Tuttavia, la maggior parte delle risposte alla dinamicità dei mercati del XXI secolo è stata di tipo “adattativo”, ovvero plasmata in funzione di ciò che cambia, senza la fiducia di poter intervenire sull’ambiente esterno. Si innesca quindi un meccanismo di “reazione” alle “azioni” esterne che spesso mette in seria difficoltà le aziende che vogliono mantenere un proprio vantaggio competitivo. Infatti, anche laddove ci si strutturi per essere snelli e veloci in risposta ai cambiamenti, si corre sempre un alto rischio poiché il ritmo dei cambiamenti stessi non è costante, ma accelera con gli anni. Si prenda un uomo chiamato a raccogliere al volo una mela che cade: diverso sarà che questa si stacchi da un albero o cada dall’ultimo appartamento di un grattacielo. È palese che convenga prevedere la caduta piuttosto che correre ai ripari. Come? Spostandosi da un’ottica passiva ad una attiva, generando le “azioni” che causeranno le “reazioni” dei competitors, diventando così i fautori del cambiamento stesso.
Diviene, dunque, imprescindibile rilassare il vincolo per cui tutto ciò che è esterno viene studiato e assunto come dato di fatto. Occorre anticipare i bisogni dei mercati e crearne di nuovi; ne è un esempio Verganti[1] quando parla di design driven innovation. Un gruppo di imprenditori ci è già riuscito poiché si è reso conto che prima di agire all’esterno è necessario sviluppare e potenziare le proprie risorse interne, sviluppare nuove conoscenze e accrescere la propria “forza interiore”. Ecco quindi che il rapporto con l’ambiente esterno passa da una a due vie, diviene ininterrotto e di mutuo scambio. Tra le risorse interne da sviluppare, conoscenza e fluidità dei flussi di comunicazione emergono tra i più importanti fattori abilitanti; acquistano dunque un grande valore tutte quelle figure che fanno da veicolo a questi due elementi. Si pone allora il problema di identificare e valorizzare quei giocatori che difficilmente si muovono lungo le linee degli organigrammi aziendali, ma, piuttosto, seguono la loro “rete” di connessioni informali. È anche grazie a loro, e al valore intangibile delle loro connessioni, che si possono spiegare le differenze di performance tra aziende operanti nello stesso settore e che abbiano apparentemente la stessa struttura.
La letteratura organizzativa ha proposto diverse classificazioni e descrizioni per alcuni ruoli particolarmente importanti dal punto di vista delle connessioni informali che li caratterizzano: fra queste, una delle maggiormente citate è quella introdotta da Cross e Prusak[2]. Questa tassonomia si rivela molto utile nel descrivere quattro ruoli fondamentali che possono essere assunti nelle reti informali: Central Connector, Boundary Spanner, Peripheral Specialist e Information Broker. In breve, i Central Connectors sono tra le figure con il più alto numero di connessioni, sia in ingresso, sia in uscita; sono coloro a cui tutti si rivolgono di più e sono una risorsa critica, in quanto spesso rappresentano il camino più agevole per le connessioni indirette. Gli Information Brokers hanno il pregio di mantenere la rete connessa: rimuovere uno di loro vorrebbe dire interrompere i flussi di comunicazione tra gruppi di persone. I Boundary Spanners sono individui che mantengono connessioni vitali anche esternamente al proprio sottogruppo; servono come ponti tra comunità, dipartimenti o ambienti esterni all’organizzazione, facilitano lo scorrere dei flussi informativi e l’acquisizione di nuova conoscenza. I Peripheral, infine, sono persone che si trovano alla periferia delle reti per scelta o per difficoltà di integrazione. Quando la scelta è voluta essi sono spesso fonte di conoscenza specialistica che dispensano con parsimonia e sono, per questo, detti Specialists.
Nonostante la descrizione e la caratterizzazione dei ruoli chiave siano ormai chiare ed esaustive e le dinamiche associate ad ogni ruolo e la specifica importanza a livello aziendale siano state comprese, si presenta sempre il problema di identificare le persone che ricoprono un certo ruolo: a tale scopo, vari autori hanno nel tempo proposto metriche e indicatori basati sullo studio della rete di relazioni. Tuttavia, il problema rimane ancora aperto: mentre è facile disporre degli organigrammi convenzionali, infatti, raramente si riesce ad avere una mappa accurata della rete delle connessioni informali (sia interne, sia esterne all’impresa) e questo pone un primo, grande limite a tutte le metriche per l’identificazione che trovano la loro base negli indicatori di rete. Niente rete, niente indici per trovare le persone chiave.
Dunque, nel nostro lavoro di ricerca – in corso di pubblicazione su rivista – oltre a studiare nuovi e più efficienti indicatori per l’identificazione dei ruoli chiave, abbiamo cercato di superare questo problema: ci siamo chiesti quale altro elemento potesse rivelarsi utile allo scopo e, soprattutto, quali elementi caratterizzanti i dipendenti fossero già a disposizione del datore di lavoro o comunque facilmente acquisibili. La risposta più naturale e diretta è legata ai tratti di personalità, generalmente osservabili attraverso i colloqui di selezione del personale. Le caratteristiche di ciascun individuo, infatti, possono essere misurate con un questionario e riassunte in cinque tratti fondamentali: Extraversion, Agreebleness, Openness to Experience, Conscientiousness e Neuroticism[3]. Il primo riporta la tendenza a relazionarsi con il mondo esterno, ad essere gregari, energetici e orientati all’azione; il secondo mostra valori alti in coloro che sono amichevoli, cooperativi, generosi e pronti ad aiutare gli altri; il terzo descrive l’attitudine ad essere immaginativi, creativi, aperti mentalmente, curiosi e a pensare in modo astratto e non conforme; il quarto si riferisce alla capacità di controllare gli impulsi personali, di rivolgersi ad obiettivi di lungo termine, di essere responsabili, affidabili e organizzati; l’ultimo ha valori alti per coloro che non reggono bene lo stress, che sono ansiosi, rabbiosi o tendono alla depressione.
Il legame fra ciascun tratto di personalità e le specifiche figure dipende necessariamente dal tipo di relazione che viene rilevata nelle reti informali. Se si considera, ad esempio, una rete d’amicizia ci si potrebbe aspettare un maggior numero di connessioni per le persone con alto grado di Extraversion e Agreebleness; queste potrebbero quindi più facilmente cadere nel ruolo di Central Connector.
Nel nostro caso è stato effettuato un esperimento cui hanno partecipato 180 studenti universitari: è stato possibile mappare sia la loro rete informale di collaborazione per rapporti di studio, sia i tratti di personalità di ciascuno. I risultati, naturalmente disponibili in forma anonima, confermano forti associazioni tra i cinque tratti di personalità e i ruoli assunti dagli studenti all’interno della rete di relazioni informali caratterizzante l’aula: ad esempio, è risultato che le persone maggiormente centrali (Central Connectors) nella rete sono quelle che presentano contemporaneamente alti valori di Conscientiousness e bassi valori di Neuroticism.
La possibilità di trovare associazioni statisticamente significative fra i tratti di personalità degli individui e lo specifico ruolo assunto nella rete informale delle loro relazioni ha un grande impatto nell’avvalorare l’ipotesi di potersi basare sullo studio della personalità per identificare le persone chiave. Questo fatto apre una nuova possibilità per il management sia nella gestione delle risorse umane, sia in quella della progettazione e del cambiamento organizzativo: infatti, porre le diverse persone nel ruolo a loro maggiormente “adatto” permette loro, da un lato, di sviluppare appieno le proprie potenzialità; dall’altro, consente di individuare le persone che – volenti o nolenti – possono agevolare o impedire i flussi di comunicazione all’interno dell’organizzazione e, di conseguenza, influenzare la circolazione delle informazioni e della conoscenza.
I grandi talenti delle reti informali possono fare la
differenza nel veicolare i cambiamenti, nel generare nuova conoscenza e nello
sviluppare competenze distintive e, quindi, nel raggiungimento di un vantaggio
competitivo sostenibile; sono una risorsa semplicemente troppo importante per
essere ignorata.
[1] Verganti R. (2008), Design, Meanings and Radical Innovation: a Meta-Model and a Research Agenda, Journal of Product Innovation Management.
[2] Cross, R. and Prusak, L. (2002), The people who make organizations go – or stop, Harvard Business Review, Vol. 80, No. 6, pp 104–112.
[3] McCrae, R.R. and Costa, P.T. (1990), Personality in adulthood, New York: Guilford Press.