Il carisma e la rete

Il carisma, proprio per la sua efficacia nel liberare straordinarie energie psicofisiche e indirizzarle verso obiettivi specifici, ha attratto da secoli l’attenzione di filosofi, psicologi, sociologi, politologi, esperti di comunicazione per cercare di capire le origini di questo potere che rende le persone e i gruppi capaci, nel bene e nel male, di azioni e imprese formidabili. Tra i primi a occuparsi scientificamente del carisma come forma di potere possiamo citare il sociologo e filosofo tedesco Karl Emil Maximilian Weber (18641920). Secondo Weber esistono tre tipi puri di potere. Il primo è il “potere legale”, che si basa sul riconoscimento di leggi, regolamenti, ordinamenti razionalmente accettati, i quali conferiscono a chi occupa predefinite posizioni un diritto di comando. Il secondo tipo di potere è quello “tradizionale”, che si ha quando l’autorità deriva da una tradizione consolidata e accettata: in questo caso si obbedisce al “signore”, al “re”, come persona che letteralmente e legittimamente incarna il potere. Il terzo tipo è il “potere carismatico”, che viene “conquistato” da persone cui vengono riconosciute qualità eccezionali, in grado di assicurargli l’ammirazione, la devozione e, naturalmente, l’obbedienza di numerosi seguaci.

La leadership carismatica, in effetti, è potere allo stato puro, perché non è condizionata da elementi esterni, anche se risente delle circostanze specifiche e del periodo storico in cui il potere stesso si manifesta. Per molto tempo il carisma si è identificato con il possesso di qualità straordinarie, di origine genetica, non concesse agli uomini comuni. Lo stesso Weber accettava tale definizione, pur riconoscendo che il carisma potesse avere anche una forma “istituzionale”, come nel caso della Chiesa di Roma fondata sul carisma apostolico. Il carisma, in questo caso, inerisce all’istituzione e ne partecipa chi, dopo appropriata preparazione e con i dovuti riti, viene preposto a un ufficio ecclesiastico. In modo certamente più prosaico, alcune burocrazie di partito condividono tali caratteristiche. Weber ha anche teorizzato la possibile trasformazione in senso extrautoritario del carisma, caso in cui il riconoscimento del leader da parte del seguito di massa viene considerato il fondamento anziché la conseguenza della sua legittimità; il riconoscimento stesso prende la forma di una elezione.

I primi a teorizzare la costruzione scientifica del carisma, non più considerato come dono divino ma come artefatto, sono stati Gustave Le Bon (1841-1931) e Gabriel Tarde (1843-1904), che hanno avuto una grande influenza sullo sviluppo della sociologia e sulla politica. Il più noto è senz’altro Le Bon, antropologo, psicologo e sociologo francese, autore del famoso saggio Psicologia delle folle (1895). Per Le Bon l’appartenenza a un gruppo è una necessità per l’essere umano, ma nella sua forma primordiale il gruppo stesso è un’entità caotica, passiva, priva di identità e di morale, facilmente plasmabile. I membri di una folla possono perdere in varia misura l’esercizio di una propria autonoma volontà, pur nella paradossale convinzione di agire spontaneamente; diventano facilmente suggestionabili, sperimentano alterazioni della personalità, intensi e primitivi stati emozionali, e si rivelano capaci di azioni impossibili negli stati ordinari di coscienza: sopportazione del dolore, incredibili atti di forza, di violenza, di crudeltà, di abnegazione. Secondo Le Bon, quindi, è il leader a creare il gruppo sfruttando la naturale tendenza alla sottomissione delle persone ordinarie, tramite l’uso di simboli, di riti, di gesti teatrali, di illusioni drammatiche, di processi di comunicazione evocativi, fortemente emozionali, esagerati, affermativi, ripetitivi. È escluso, in quanto inefficace, ogni appello alla ragione. D’altra parte le persone hanno un desiderio inconscio di essere dominate e finiscono in genere con adorare coloro che le sottomettono tramite questo processo carismatico. Attraverso l’obbedienza e la partecipazione al gruppo i deboli acquistano identità e godono di un’illusione di potenza: per questo la partecipazione li fa sentire liberi e realizzati, anche se in realtà vivono in stato d’oppres-sione.

Le Bon divenne famoso come un “nuovo Machiavelli”: Roosevelt volle incontrarlo, De Gaulle usava spesso citarlo, Stalin ne studiò meticolosamente i lavori e Hitler è stato definito il suo “migliore allievo”. Anche Mussolini fu un suo fervido ammiratore: «Ho letto tutta l’opera di Le Bon e non so quante volte abbia riletto la sua Psicologia delle folle. È un’opera capitale alla quale spesso ritorno…» (Mussolini, 1926).

Nel ‘900 il mondo si riempie di personaggi carismatici nella politica, nell’economia, nello spettacolo, nello sport. Infatti, le tecniche di costruzione del carisma, grazie anche all’emergere di nuovi media come radio, cinema e, più tardi, televisione si affermano su vasta scala. Questo processo raggiunge il culmine tra la fine del secolo scorso e l’inizio del nuovo millennio, quando si assiste allo sviluppo esponenziale delle tecnologie informatiche e, soprattutto, della rete delle reti, il magico web, allo stesso tempo risorsa infinita e medium carismatico per eccellenza, in quanto evidentemente dotato di qualità superumane.

Per molte persone in tutto il mondo il web è uno dei principali strumenti con cui si acquisiscono informazioni, valutazioni, previsioni e consigli su una infinità di aspetti che vanno dalle scelte di consumo, alle decisioni di investimento, alle opinioni, alle interpretazioni di fatti, alla vita di relazione. In molti ambiti il web è anche il principale canale di comunicazione, sia a livello interpersonale, sia a livello organizzativo.

Il fatto che le funzioni una volta tipiche del computer stiano gradualmente divenendo comuni a molti dispositivi, a cominciare dai telefoni cellulari fino ad arrivare alle fotocamere e ai sistemi di navigazione satellitare, e più di recente anche agli elettrodomestici e a molti altri oggetti di uso comune (Internet Of Things, IOT) ha contribuito ad accelerare e diffondere questi fenomeni. E tutti questi oggetti possono attivarsi nel momento giusto e in ogni luogo per suggerire, proporre, ricordare, avvertire. Di fatto la capacità persuasiva della tecnologia ci segue e si manifesta anche nei luoghi e nei momenti più impensati, in cui magari non accetteremmo la presenza e le opinioni di qualunque altro essere umano. Eppure, non sono passati neanche tanti anni da quando, nel 1943, Thomas Watson, destinato a divenire presidente dell’IBM, profetizzò che il mercato mondiale non avrebbe mai potuto assorbire più di cinque computer all’anno!

Nella prefazione al volume Supersizing the Mind, di Andy Clark (2008), David Chalmers racconta come l’iPhone abbia gradualmente assunto alcune delle funzioni centrali del suo cervello. Tale straordinario apparato ha infatti rimpiazzato una parte della sua memoria, immagazzinando numeri di telefono e indirizzi che non molto tempo prima avrebbe dovuto ricordare a memoria. Ha registrato alcuni suoi desideri conservando, ad esempio, i nomi dei piatti preferiti nei vari ristoranti che frequenta. Viene utilizzato per fare calcoli, controllare i conti, cercare informazioni su Google, pianificare sia le attività di lavoro che il tempo libero. Stimola anche sogni a occhi aperti quando, nei momenti d’ozio, o comunque quando la concentrazione si allenta, David distrattamente richiama dai suoi archivi o da internet parole e immagini. Alcuni suoi amici sostengono che è diventato così dipendente dall’iPhone che dovrebbe farselo impiantare nel cervello. Tuttavia, secondo la “teoria delle mente estesa”, ciò non farebbe altro che velocizzare i vari processi ed eliminare la necessità di usare le mani, in quanto l’apparato è ormai in ogni caso parte dei suoi processi cognitivi.

La tesi centrale della teoria della mente estesa afferma che in alcuni casi componenti esterne interagiscono con il cervello in modo tale da divenire parte della mente. Ciò è meglio specificato dal “Principio di parità” (Clark and Chalmers, 1998) secondo il quale se, rispetto a determinati comportamenti, una componente ambientale funziona come un processo che, se si svolgesse nella testa, non esiteremmo ad accettare come parte del processo cognitivo, allora quella componente dell’ambiente è effettivamente parte del processo cognitivo stesso. Le condizioni che stabiliscono la parità sono le seguenti: la risorsa esterna deve essere disponibile rapidamente e invocata regolarmente; le informazioni recuperate devono essere accettate in modo automatico; le informazioni contenute nella risorsa devono essere facilmente accessibili quando occorrono. Chiunque si avvalga di risorse come Google o Wikipedia sa bene che il principio di parità è perfettamente rispettato. Riportiamo comunque con qualche modifica il famoso esempio utilizzato dagli autori per chiarire questo concetto.

Supponiamo che Mario decida di andare a cena fuori. Per scegliere il ristorante si affida alla sua eccellente memoria che gli permette di richiamare immediatamente i locali che ha già provato, quelli consigliati dagli amici e, naturalmente, i loro indirizzi. Supponiamo che anche Alberto decida di cenare fuori. A differenza di Mario, Alberto ha pochissima memoria, e ne è chiaramente consapevole. Perciò usa memorizzare moltissime informazioni potenzialmente utili su appositi file ordinatamente conservati sul suo tablet. Tra queste, naturalmente, ci sono i nomi dei ristoranti già sperimentati, con le sue impressioni e valutazioni, quelli consigliati dagli amici e i relativi indirizzi. È evidente che in questo caso il tablet di Alberto giochi un ruolo perfettamente analogo a quello della memoria per Mario, e possa quindi essere considerato una parte fondamentale dei suoi processi cognitivi. La produzione di strumenti cognitivi, in grado cioè di interagire con la mente, e la trasmissione intergenerazionale del loro impiego è una caratteristica del cervello umano. Ed è anche evidente, dal punto di vista evoluzionistico, che l’accumularsi di tali strumenti sta modificando l’organizzazione delle funzioni cognitive. Basta pensare all’uso di una calcolatrice per rendercene conto: chi si sognerebbe oggi di fare operazioni aritmetiche complicate a mente o a mano? Chi sa ancora estrarre una radice manualmente?

Una conseguenza immediata della teoria delle mente estesa è che gli strumenti cognitivi esterni forniscono un canale attraverso il quale è possibile ristrutturare atteggiamenti, orientamenti, percezioni e giudizi delle persone; ad esempio, se riusciamo a modificare alcuni file nel tablet di Alberto possiamo drasticamente influire sulle sue scelte e sui suoi comportamenti: l’equivalente di un piccolo “lavaggio del cervello”.

È del tutto evidente come questi processi vengano deliberatamente usati per orientare gli acquisti e influire sul comportamento dei consumatori. Il web permette infatti un livello di personalizzazione delle proposte senza precedenti. Attraverso raffinate tecniche di profiling, le abitudini, i bisogni e i gusti degli utenti possono essere ricostruiti con estrema precisione. Possono così essere forniti suggerimenti, informazioni, proposte che risultano quasi sempre graditi proprio perché percepiti come corrispondenti a reali esigenze; e se anche non si manifesta il comportamento effettivamente desiderato, l’utente non si sente disturbato e non ritiene di aver subito invasioni della privacy. Se poi l’intervento della tecnologia è non solo fortemente personalizzato, ma anche veicolato al momento giusto (come i suggerimenti che appaiono quando viene effettuata una ricerca su Google) l’efficacia può essere veramente notevole.

Meno evidente è il ruolo che il web sta assumendo nella ristrutturazione delle opinioni e delle credenze del pubblico. Ciò avviene innanzitutto attraverso sofisticate operazioni di framing (cfr. La Bella e La Bella, 2011) che sfruttano la possibilità di combinare testo, suoni, grafici, figure, video, animazioni, collegamenti ipertestuali, simulazioni per creare messaggi ad alto livello di impatto; tutto può avere inizio anche da una interazione debole, come ad esempio l’invio di una e-mail: se questa colpisce l’attenzione, l’utente, con un semplice click, viene attirato su un sito all’interno del quale può venire coinvolto anche emotivamente.

Il superamento del trade-off tra reach e richness è considerato da molti il vantaggio più importante delle tecnologie dell’informazione rispetto ai media tradizionali. Questi ultimi, infatti, per raggiungere molti contatti (reach) devono via via sacrificare la ricchezza dell’informazione trasmessa (richness): maggiore è il numero di persone raggiunte da un messaggio, minore è la profondità del messaggio stesso in termini di contenuti. Il web, invece, garantisce la scalabilità: è possibile aumentare all’infinito il raggio d’azione nella riproduzione e distribuzione di contenuti senza perdere nulla rispetto all’esperienza originale, che può essere anche interattiva. C’è poi la possibilità di restare anonimi (anche se meno spesso di quanto possa sembrare). L’anonimità, anche se solo apparente, rende più liberi di esprimersi su argomenti “sensibili”. Questa apertura, paradossalmente, ci rende più vulnerabili perché abbassa i filtri nei confronti dei messaggi e delle opzioni che ci vengono proposte. Qualche volta ciò aiuta a cambiare in meglio, potendo ricercare consigli e assistenza che le inibizioni ci impediscono di chiedere a viso aperto. In altri casi, però, apre una breccia a manovre persuasive particolarmente subdole.

Naturalmente quanto sopra implica un elevato livello di credibilità del web. La credibilità è una qualità percepita; per certi aspetti, è come la bellezza: è presente soprattutto negli occhi dell’osservatore, anche se non si può negare che esistano fattori oggettivi che influenzano nello stesso modo le percezioni di tutti. Da questo punto di vista il web è una miniera di contraddizioni. Proprio per le sue caratteristiche di apertura, infatti, è possibile trovare siti che costituiscono autentiche risorse e siti completamente fasulli; non mancano inoltre tentativi di frode, di phishing e dihacking. Ciò nonostante, si può affermare che il web ha acquistato una credibilità crescente. In alcune fasce di popolazione e specialmente tra i giovani il web è già oggi la principale fonte di informazione. Ciò si deve in primo luogo alla perdita di credibilità dei media tradizionali, ritenuti per lo più legati a interessi di parte, mentre il web è considerato libero e indipendente. Inoltre la pubblicazione di commenti e opinioni da parte del pubblico contribuisce alla credibilità dei siti. Veri o falsi che siano tali commenti, è evidente che ciò sia del tutto impossibile per qualunque altro strumento di comunicazione: è impensabile che un quotidiano o una rivista pubblichi tutti i commenti dei propri lettori, così come non è possibile per le reti radiofoniche e televisive dare spazio a tutti coloro che dovessero richiederlo. La pervasività del web sociale ha gradualmente trasformato il modo con cui percepiamo il nostro sistema relazionale: già oggi, per i più giovani, non c’è quasi più relazione che non sia sostenuta e alimentata tramite web. E per l’esistenza stessa di un gruppo è essenziale il collante dei social network.

Non è un caso che oggi i partiti e i politici più importanti si avvalgano massicciamente del web, anche se gli stessi politici e partiti manifestano di tanto in tanto insofferenza verso la libertà e l’indipendenza della rete, avanzando proposte che con intenti “moralizzatori” cercano di nascondere il vero fine di sottoporla a qualche forma di controllo. Non è difficile creare artificialmente un’aura di credibilità per un sito: architettura raffinata, contenuti formalmente ben presentati, facilità di accesso e di ricerca interna, aspetto autorevole, link abbondanti, finte recensioni di utenti entusiasti possono trarre in inganno anche i più esperti dei navigatori. Si ricorre spesso a particolari metodologie (Search engine optimization e Search engine marketing) per aumentarne il traffico e farne salire il ranking nei motori di ricerca (non è un caso che Google faccia di tutto per mantenere il più possibile riservati i parametri su cui basa il ranking delle pagine web). Una volta che un sito abbia superato una determinata soglia, la crescita dei volumi di traffico e dei link si autoalimenta: è nata una nuova star, in grado di fare opinione e tendenze.