In precedenti editoriali abbiamo parlato delle tecniche per influenzare i comportamenti all’interno di organizzazioni complesse facendo leva sui “primi birilli”, termine introdotto da Chan Kim e Mauborgne (2005) per indicare quegli individui che a causa della loro posizione nel sistema di relazioni, soprattutto informale, esercitano una notevole influenza su molte altre persone. Essi costituiscono quindi i bersagli naturali delle nostre strategie di persuasione; se riusciamo a modificare le loro opinioni e comportamenti generiamo automaticamente un’onda di cambiamento in grado di estendersi gradualmente a tutta l’organizzazione. Ma come individuarli tra centinaia o migliaia di persone, visto che non necessariamente essi occupano posizioni di rilievo dal punto di vista gerarchico?
La figura 1 rappresenta una ipotetica mappa di connessioni presenti all’interno di un gruppo di persone. Ogni link rappresenta l’esistenza di un canale di comunicazione aperto; i colori indicano l’appartenenza a sottoinsiemi diversi, ad esempio diverse unità o reparti nell’ambito della stessa organizzazione.
Supponiamo di dover convincere e motivare le persone a intraprendere un processo di cambiamento, di cui cerchiamo i leader “naturali”, ovvero i primi birilli. È ovvio che John non rappresenta un buon candidato: se anche riuscissimo a portarlo dalla nostra parte, avremmo ottenuto ben poco, dato che a quanto pare interagisce con una sola persona. Non è una questione di doti personali, ma semplicemente il fatto che, per qualche motivo magari indipendente dalla sua volontà e dalle sue capacità, John si trova in una posizione alquanto isolata.
Kate potrebbe essere il candidato ideale, dato il suo elevato livello di centralità (ovvero la percentuale delle connessioni totali che la interessano). Ciò significa che ha contatti con un numero molto elevato di persone; inoltre dalla topologia della rete si vede che Kate ha contatti diretti in tre delle quattro unità organizzative rappresentate dai vari colori. Prima di iniziare a persuadere Kate, però, vediamo quali sono i motivi per cui potrebbe non rappresentare la persona giusta.
In primo luogo, Kate potrebbe soffrire di un overload di informazioni; i suoi contatti potrebbero essere troppo numerosi per poter essere gestiti efficacemente e potrebbero sovraccaricarla dal punto di vista sia informativo che emozionale. In effetti non è raro il caso di dirigenti che pur impegnandosi al massimo vengono sopraffatti dagli eventi quotidiani e non riescono a tenere il passo con le strategie, i cambiamenti, le innovazioni necessarie per essere e restare competitivi: spendono quindi il loro tempo in battaglie di retroguardia e si sentono (e appaiono) sempre in condizioni di stress.
Per giunta Kate non ha alcun contatto con l’unità rappresentata in rosso; Lauren, sicuramente meno “centrale”, ha una migliore distribuzione di contatti sulle quattro unità considerate.
Infine, occorre valutare la qualità delle connessioni. Kate potrebbe essere una persona socievole e simpatica ma ritenuta scarsamente affidabile dai suoi numerosi contatti. Oppure le relazioni potrebbero dipendere esclusivamente da aspetti di natura organizzativa e gerarchica, senza una componente di condivisione e fiducia. Una persona con un numero minore di contatti caratterizzati però da una migliore qualità relazionale potrebbe costituire allora la scelta più efficiente. Tuttavia questo elemento, effettivamente molto importante e centrale in molti modelli di leadership, ha una possibilità applicativa limitata di fatto alle reti di piccole dimensioni. Nelle grandi organizzazioni è difficile andare oltre lo studio topologico della rete, anche se buoni risultati possono essere ottenuti con una precisa rilevazione dei legami effettivamente utili ai fini della dinamica della formazione e propagazione di opinioni e comportamenti. Rimane però il fatto che una leadership efficace non può rivolgersi a tutti allo stesso modo, specialmente nelle grandi organizzazioni, se non altro per gli inevitabili limiti di tempo; inoltre troppe voci producono una cacofonia in cui è difficile identificare pattern unificanti e che rende impossibile la precisa definizione delle azioni da compiere. In effetti vari studi hanno mostrato che nella realtà si riscontrano almeno due differenti categorie di relazioni tra il leader e le persone da lei/lui guidate: quelle del “gruppo interno”, su cui il leader punta direttamente per ottenere consenso e sostegno, e quindi caratterizzate da elevati livelli di fiducia, interazione e motivazione intrinseca (un termine oggi di moda è “cerchio magico”); e quelle del “gruppo esterno”, cui viene prestata inevitabilmente meno attenzione e quindi di qualità inferiore dal punto di vista di fiducia, interazione e motivazione. Si pone allora il problema dell’identificazione ottimale dei membri del “gruppo interno”. Troppo spesso si verifica infatti che essi siano selezionati non tanto per il potenziale contributo che possono portare alla guida del sistema, quanto sulla base di rapporti di amicizia, simpatia, parentela, adulazione, ecc.
La selezione ottimale implica invece lo studio topologico e qualitativo della rete di influenza del leader. Prima, dal punto di vista topologico, per individuare i ruoli che per posizionamento di rete costituiscono potenziali target e poi, dal punto di vista qualitativo (più semplice una volta che la rete da prendere in considerazione sia stata ricondotta a dimensioni trattabili) per selezionare effettivamente le persone cui connettersi in modo privilegiato.
Dal punto di vista topologico le caratteristiche rilevanti della rete sono costituite dall’eterogeneità sia degli indici di centralità, sia dei coefficienti di clustering (il coefficiente di clustering indica il livello di parcellizzazione della rete in sottogruppi; nella figura 2 le reti 2 e 4 sono fortemente clusterizzate, al contrario delle reti 1 e 3).
In una rete con elevata eterogeneità degli indici di centralità c’è ovviamente una forte varianza nel numero di connessioni dei singoli nodi, con la presenza di pochi hub fortemente connessi. Le reti 1 e 2 in figura 2 esemplificano questo concetto: i nodi A e B ne costituiscono gli hub. Viceversa, in una rete sufficientemente omogenea negli indici di centralità (come ad esempio le reti 3 e 4 in figura 2) tutti i nodi avranno un numero più o meno equivalente di connessioni, senza una chiara presenza di hub.
La classificazione delle reti secondo queste due dimensioni permette di definire i target potenziali dell’intervento del leader. Dalla figura 2 emergono quattro casi emblematici. Il primo è quello delle reti eterogenee a basso coefficiente di clustering (rete 1): queste reti sono molto compatte e contengono alcuni hubimportanti per tutte le interazioni. Il leader stabilirà con questi relazioni stabili e forti, data la funzione critica che essi svolgono dal punto di vista della connettività della rete, attraverso le quali esercitare la propria influenza. Inoltre, poiché gran parte delle informazioni rilevanti fluisce attraverso tali hub, le stesse relazioni permetteranno il monitoraggio preciso e continuo di ciò che avviene nel sistema. Sottolineiamo che il leader non assumerà mai personalmente la posizione di hub per evitare che un eccesso di connessioni lo sovraccarichino distogliendolo dalla funzione di guida. Più semplice ed efficace delegare con cura e mantenere gli hub nella propria sfera di influenza.
Il secondo caso è quello delle reti omogenee a elevato indice di clustering (rete 4 in figura 2) in cui non si evidenziano hub ma è presente una chiara struttura di sottoreti. Il leader in questo caso dovrà curare la connessione con almeno un nodo in ciascun sottogruppo. Nell’esempio in figura il leader potrà essere posizionato in A o B (non c’è in questo caso rischio di sovraccarico), oppure essere fortemente collegato con entrambi questi nodi.
Le reti eterogenee ad alto indice di clustering costituiscono la terza tipologia (rete 2 in figura 2) che può essere considerata una combinazione delle due precedenti: è divisa in sottogruppi ma presenta contemporaneamente hub in tutte le sottoreti. Il leader curerà allora, come nel primo caso, le connessioni con gli hub (in figura, A e B), evitando però ancora una volta di posizionarsi personalmente in uno di questi ruoli per evitare la gestione di un numero troppo elevato di link.
Le reti omogenee a basso indice di clustering costituiscono l’ultima e meno interessante tipologia: infatti Barabasi (2002) e Watts (2001) hanno dimostrato, per una grande varietà di reti relative a relazioni umane e non-umane, che hub e/o elevati indici di clustering sono quasi sempre presenti.
Questa tipologia si riscontra quindi molto di rado nella realtà, specialmente per reti di grandi dimensioni. In questo caso, comunque, al leader non rimarrà altra strada, per esercitare la propria influenza, che stabilire personalmente il massimo numero di connessioni. In alternativa o, meglio, contemporaneamente, potrà lavorare per favorire l’evoluzione della rete verso una delle altre configurazioni, con risultati ottenibili però solo nel medio-lungo periodo.
Lo studio topologico della rete permette quindi di concentrare l’attenzione su un numero relativamente limitato di nodi; tuttavia in molti casi pratici i candidati come target dell’attenzione del leader potrebbero essere troppo numerosi per lo stabilirsi di forti connessioni dirette (il rischio di sovraccarico è sempre presente). È necessario quindi a questo punto indagare qualitativamente sulle connessioni principali che caratterizzano i candidati: ribadiamo che tale indagine sarebbe stata impossibile o eccessivamente onerosa da svolgere sull’intera rete, ma diventa praticabile una volta ristretto drasticamente il numero di nodi e link da esaminare.
Consideriamo ancora ad esempio il semplice caso della figura 1. Dall’analisi topologica emerge una struttura eterogenea ad alto indice di clustering ed è quindi necessario per il leader stabilire connessioni con gli hub delle varie sottoreti: i candidati naturali, come abbiamo visto, sono Kate e Lauren. Se dovessimo scegliere un solo “primo birillo” diventerebbe utile conoscere la natura specifica delle connessioni rappresentate. Immaginiamo che dal punto di vista qualitativo esse rappresentino relazioni di fiducia tra le persone. Il profilo migliore diventa allora quello di Lauren, che ha forti connessioni con gli hub delle quattro sottoreti e ha almeno un altro contatto in ciascuna di esse. Kate, invece, non ha collegamenti con gli hub delle sottoreti gialla e rossa. Il leader quindi si rivolgerà preferenzialmente a Lauren per influenzare opinioni e comportamenti, oltre che per esercitare quelle funzioni che fosse eventualmente necessario delegare. Kate verrà presa in considerazione in subordine, qualora le “risorse persuasive” fossero sufficienti per un altro “primo birillo”.
Riferimenti
W. Chan Kim, R. Mauborgne (2005) Strategia oceano blu, Etas, Milano.
E. Gallo (2006) A network perspective on leadership, 2006 Oxford Leadership Prize.
A. La Bella & A. La Bella (2011) Convincere e motivare. Scienza e tecnica della persuasione, Angeli, Milano.