Ovvero: perché le aziende amano più i clienti degli altri?
“Benvenuto nel servizio clienti. Per ricevere assi- stenza tecnica, digiti 1. Per informazioni amministrative e contrattuali, digiti 2. Per modificare il suo profilo tariffario, digiti 3. Per altri servizi, digiti 4. Per accede- re alla sezione fai da te, digiti 5.”
Inizia più o meno così il calvario di chiunque abbia bisogno di comunicare con il proprio fornitore di uno qualunque dei tanti servizi di cui tutti usufruiamo su base continuativa tramite abbonamento. Per poter avere l’informazione che ci serve è necessario rispondere correttamente, digitando i numeri giusti, a una lunga catena di opzioni. Se poi desideriamo parlare con un operatore, oltre ai tempi d’attesa, capita in genere di essere alla fine messi in contatto con l’addetto ad un call center che può trovarsi in qualunque parte del mondo e che di solito ignora la soluzione per il nostro problema (“Finalmente… senta, da quando ho preso la vostra scheda, il mio client di posta elettronica ha smesso di funzionare”. Risposta, dopo qualche secondo di perplessità: “Il suo… cosa?”) Eppure, quando abbiamo sottoscritto il contratto, probabilmente ci sono venuti a cercare; siamo stati il bersaglio di campagne pubblicitarie accattivanti; abbiamo senz’altro parlato con competenti e gentilissimi operatori, che ci hanno spiegato con ricchezza di particolari i vantaggi della loro offerta rispetto alla concorrenza; forse abbiamo anche ricevuto omaggi e bonus (servizio a costi ridotti per qualche mese, o un gadget, o qualche servizio aggiuntivo incluso nel prezzo base, o altro ancora).
Infine la parte peggiore e che più ci spezza il cuore: la consapevolezza che spesso, con tutta evidenza, ai nuovi abbonati vengono praticate condizioni e tariffe più vantaggiose, che a noi, vecchi e fedeli clienti, sono precluse (“Ho visto un’offerta per lo stesso servizio che ho sottoscritto, ad una tariffa più bassa del 20%. Vorrei sapere se il mio contratto verrà adeguatamente aggiornato.” “No signore, se desidera l’aggiornamento deve modificare il suo profilo tariffario.” “E’ ovvio che lo desidero: è lo stesso servizio a un costo più basso. Non può modificare lei la mia tariffa?”
“Spiacente, deve rivolgersi all’operatore giusto. Richiami e segua le istruzioni.” Dopo svariati tentativi scopriamo che è possibile modificare via Internet il profilo tariffario, ma che ogni variazione ha il costo fisso di alcune decine di Euro). Tutto questo è una forma particolarmente irritante di una strategia, nota come “discriminazione di prezzo di terzo grado”, studiata per la prima volta dall’economista inglese Arthur Cecil Pigou.
La discriminazione di prezzo consiste nel vendere uno stesso bene o servizio a prezzi diversi per ogni compratore e si manifesta in tre gradi:
- nella discriminazione di primo grado si applica ad ogni cliente il relativo “prezzo di riserva”, cioè il prezzo massimo che egli è disposto a pagare per ogni unità di prodotto;
- il secondo grado consiste nell’applicare prezzi unitari diversi a seconda della quantità consumata del bene (molto utilizzata per le tariffe dei servizi di pubblica utilità, tipica la tariffa a due parti);
- nella discriminazione di terzo grado il prezzo viene stabilito dal venditore sulla base di alcune specifiche caratteristiche di ogni consumatore. La discriminazione di prezzo richiede ovviamente l’acquisizione di informazioni sui clienti, attuali e potenziali, e viene applicata, dalle aziende che hanno un sufficiente potere di mercato, per aumentare i propri profitti a scapito del surplus dei consumatori. Ma non è sempre negativa. Ad esempio, l’accesso a molti servizi pubblici ritenuti di rilevante importanza sociale avviene a tariffe differenziate per fasce di utenti (in questo caso il criterio di discriminazione è basato sul reddito). I cinema di prima, seconda e terza visione costituiscono un’altra forma di discriminazione, che consente ad un pubblico molto vasto l’accesso a opere che sarebbero altrimenti precluse (allo stesso modo funziona l’uscita di un libro di successo prima con rilegatura raffinata e poi in paperback). In altri casi, il prezzo diverso è efficiente perché rispecchia il costo di congestione causato da andamenti molto discontinui della domanda. Comunque, al di là della ripartizione del surplus di sistema tra produttori e consumatori (che interessa l’equità e non l’efficienza), la discriminazione di prezzo può produrre un ampliamento del mercato e quindi garantire più diffuse possibilità di consumo.
Tuttavia, nella forma che abbiamo visto all’inizio, l’adozione su vasta scala di strategie di questo tipo fa emergere una serie di preoccupazioni su alcune tendenze, che probabilmente nessuno aveva previsto, dell’evoluzione dei mercati nell’era dell’interconnessione globale.
Negli ultimi 150 anni c’è stato un graduale spostamento del potere di mercato dai produttori ai consumatori. Non c’è dubbio infatti che storicamente i produttori e i venditori abbiano praticato una sistematica discriminazione di prezzo, basata su una forte asimmetria informativa a loro favore e, anche, su una concorrenza relativamente debole.
La “democratizzazione” dello shopping è iniziata con il diffondersi dei grandi magazzini, dei supermercati, dei grandi centri commerciali (i primi sorgono a New York e Philadelphia nella seconda metà del XIX secolo), che hanno comportato l’esposizione di enormi quantità e varietà di beni a prezzi fissi, chiaramente esposti e facilmente confrontabili. Successivamente l’aumento della competizione tra le imprese e l’emergere di istituzioni garanti della concorrenza hanno permesso ai consumatori di poter scegliere non solo tra le diverse offerte di uno stesso prodotto, ma anche tra una grande varietà di potenziali sostituti. Poi arriva Internet. Nasce il World Wide Web. Abbiamo tutti accesso ad una quantità di informazioni impensabile fino a solo qualche anno prima. I motori di ricerca diventano sempre più veloci, precisi ed efficienti. Le asimmetrie informative tra produttori, venditori e consumatori sembrano solo un lontano ricordo: chiunque lo voglia può trovare sul web informazioni ed esperienze di consumo su qualunque bene e servizio e può entrare facilmente in contatto con altri consumatori che condividono le stesse caratteristiche ed esigenze. Sembra inesorabile un ulteriore shift del potere di mercato dai produttori/ venditori ai consumatori.
La fiducia in queste potenzialità di Internet viene scossa per la prima volta nel settembre del 2000, quando i clienti di Amazon.com si accorgono che gli stessi DVD erano contemporaneamente offerti a clienti diversi con sconti variabili dal 20% al 40%. La notizia, specialmente negli USA, guadagna le prime pagine dei quotidiani. L’azienda viene accusata di utilizzare le informazioni rilevate sui propri clienti per una discriminazione di prezzo basata sul profilo individuale di consumo. Amazon nega e si giustifica affermando che gli sconti erano parte di un random test volto a rilevare statisticamente l’elasticità della domanda. Ma le polemiche continuano finché, dopo settimane di attacchi da parte delle associazioni dei consumatori e dei principali media, l’azienda chiede scusa, offre il rimborso ai clienti che hanno pagato il prezzo più alto e giura che non succederà più.
Di fatto Internet, insieme alle varie transazioni telematiche che effettuiamo, permette la raccolta di enormi quantità di informazioni su ciascuno di noi, con la costruzioni di profili individuali molto precisi. La competizione richiede che il consumatore vada in giro, esamini e compari le diverse offerte in termini di qualità e prezzi; quello che in realtà succede con sempre maggiore frequenza è che i venditori consultano la loro base dati (acquisita direttamente o acquistata da terzi), analizzano il nostro profilo e decidono se siamo clienti che vale la pena di coccolare, se è necessario praticarci qualche sconto, se è probabile che non reagiamo ad un incremento di prezzo, se possiamo essere spremuti perché fedeli e leali. Ogni consumatore, in prospettiva, rischia di diventare il bersaglio di campagne di marketing e di strategie di vendita e di prezzo mirate a livello individuale.
Certo in qualche caso ciò può avere dei vantaggi. A me piace che Amazon mi raccomandi in anteprima nuovi libri sulla base delle informazioni sui miei acquisti precedenti e sulle mie consultazioni online del sito; molto spesso mi ha fatto comodo e li ho anche ordinati. Mi piace anche che mi suggerisca nuovi DVD o alcuni gadget che in qualche modo ha scoperto essere del tipo cui non riesco a resistere.
Quello che non mi piace è pagare lo stesso biglietto aereo ad una tariffa diversa dagli altri passeggeri dello stesso volo (pratica cui le aziende danno il nome fantasioso di yeld management); non mi piace che il costo di un oggetto o di un servizio cambi a seconda della rilevazione della mia sensibilità al prezzo, della mia fedeltà, dei miei costi di switching e della mia disponibilità ad affrontarli.
Non è in discussione il diritto di qualunque impresa di praticare i prezzi che vuole (è il mercato, bellezza!): ciò che è in discussione è la legittimità della situazione asimmetrica che si crea con la raccolta e l’uso di informazioni private sul compratore a svantaggio del compratore stesso. Una legislazione più severa sulla raccolta di informazioni di natura privata potrebbe aiutare (anche se c’è poco da sperare da governi che sono i primi a violare su larga scala la privacy dei cittadini, e non sempre per ragioni nobili). Forse la cosa migliore è che i consumatori reagiscano con chiari segnali; ad esempio:
- rivolgiamoci sempre, laddove possibile, a più di un fornitore e rendiamo la cosa esplicita ed evidente;
- nei casi di servizi in abbonamento, cambiamo periodicamente fornitore, anche senza nessun motivo apparente (per parafrasare un vecchio detto, il motivo per cambiare c’è sempre; noi forse non lo conosciamo, il nostro fornitore sì) e anche se ciò ci crea qualche piccolo disturbo;
- evitiamo di lasciare troppe tracce che permettano di ricostruire il nostro profilo; non aderiamo a “programmi fedeltà” se non veramente vantaggiosi (ce ne sono pochissimi); non autorizziamo il trattamento dei nostri dati personali se non ad enti di assoluta reputazione; cancelliamo regolarmente cookies e file temporanei dal nostro PC.
Credo sia arrivato il momento di interpretare il diritto alla privacy, oltre che come ovvia tutela della riservatezza della vita privata, anche come una delle garanzie necessarie per il corretto funzionamento del nostro sistema economico. Le asimmetrie informative, infatti, costituiscono una violazione del principio, implicito nell’economia mercantile, del fair dealing; rappresentano inoltre una delle principali cause di moral hazard e quindi una sicura fonte di inefficienza dei mercati.