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Una tarde de amor

ovvero dall’illusione del controllo al delirio di onnipotenza

Il 9 settembre del 2006 viene diffuso su YouTube un video intitolato “Una tarde de amor”. Nella clip la bellissima Daniella Ciccarelli, modella e presentatrice brasiliana più nota per essere stata per 84 giorni moglie del calciatore Ronaldo che per le sue performance artistiche, è ripresa in scene di sesso esplicite con il suo fidanzato, il finanziere Renato Malzon, su una spiaggia spagnola. Indignata, forse non a torto, di tale evidente violazione della privacy, Daniella intenta un’azione legale contro YouTube, non tanto per la rimozione della clip, prontamente effettuata dai gestori anche perché in aperta violazione con il codice etico della piattaforma, quanto per ottenere un risarcimento per il danno subito. Indipendentemente dal risultato giudiziario, che peraltro ha visto prevalere in secondo grado YouTube con una condanna della modella per danni al portale, l’esito del tutto inatteso della vertenza è stato quello di una straordinaria diffusione del video, ancora oggi scaricabile da una molteplicità di siti (provare, per credere, con un qualunque motore di ricerca).

Questo episodio è una evidente manifestazione della cosiddetta “Legge delle conseguenze inattese” secondo cui “ogni intervento su un sistema complesso, indipendente dal raggiungimento degli obiettivi prefissati, è suscettibile di generare imprevedibili e spesso indesiderabili effetti collaterali”. La legge delle conseguenze inattese rientra nella più generale categoria dei bias di controllo, ovvero nella naturale tendenza umana a sovrastimare la capacità di controllare gli effetti delle proprie azioni e decisioni. L’origine di questi bias risiede, con ogni probabilità,  nel fatto che individui e gruppi che si ritenevano in grado di esercitare un elevato livello di controllo sull’ambiente e sui risultati delle loro azioni in situazioni diverse sono stati storicamente in grado di “rischiare” di più, innovando, creando nuove opportunità per l’acquisizione di risorse, generando sicurezza nei propri mezzi e nelle proprie capacità e procurando così, non solo a loro stessi ma anche ai loro discendenti, maggiori probabilità di sopravvivenza. Molti, naturalmente, avranno subito gravi conseguenze a causa della loro presunzione di controllo, ma sul piano evolutivo la maggiore fiducia nel risultato è risultata statisticamente vincente.

Ellen Langer, professore di psicologia ad Harvard, ha introdotto in un famoso articolo del 1975* il concetto di illusione del controllo. L’illusione del controllo consiste nella convinzione di poter influenzare il corso degli eventi molte oltre le effettive possibilità. In realtà la fiducia nelle capacità personali di gestire con successo le diverse situazioni all’interno dell’ambiente di riferimento può determinare impegno e perseveranza nel perseguimento dei propri obiettivi, permettendo così di ottenere risultati ambiziosi. Naturalmente tale ottimismo deve essere proporzionato alle circostanze per non degenerare in atteggiamenti patologici che possano portare ad assumere comportamenti eccessivamente rischiosi o comunque incuranti di possibili conseguenze negative. Una ben nota degenerazione dell’illusione del controllo è il “delirio di onnipotenza”, tipico di persone che, assuefatte all’uso del potere, si convincono di essere assolutamente immuni da ritorni negativi delle loro decisioni e comportamenti. Il delirio di onnipotenza può assumere caratteristiche patologiche quando si manifesti: una assoluta certezza soggettiva su una determinata idea; una assoluta incorreggibilità, cioè l’impossibilità di essere influenzati dall’esperienza concreta o da confutazioni basate sull’evidenza; un alterato giudizio sulla realtà; una struttura completamente autocentrica che vede il delirante sempre e comunque come elemento centrale della sua percezione del mondo; un senso di minaccia con contenuti ipocondriaci e di persecuzione; smanie di grandezza, erotomaniache e di potere assoluto.

In ogni caso l’illusione del controllo implica una inadeguata gestione dei rischi, con possibilità di escalation ansiosa nel caso in cui le scelte si rivelino inadeguate, con conseguente peggioramento del comportamento relazionale. Alla lunga possono presentarsi problemi psicologici fino ad arrivare, nei casi più estremi, ad uno stato di severa depressione.

Avversione alle perdite: per la maggior parte delle persone la disutilità provocata dal rinunciare ad un bene è maggiore dell’utilità associata con l’acquisizione dello stesso. Questo bias è alla base di molti comportamenti irrazionali, come quello dell’escalation, che si verifica quando un insuccesso conduce ad una spirale di crescenti impieghi di risorse, rivolta a non disperdere  i “costi affondati” invece che ad una attenta revisione delle decisioni già prese. Un’altra conseguenza è la tendenza a privilegiare il mantenimento dello “status quo”: oltre alla naturale avversione al rischio gioca infatti, in questo caso, la sopravvalutazione di ciò che si perde rispetto a ciò che potenzialmente potrebbe essere acquisito in un cambiamento di situazione.

La retrospezione rosea consiste nel ricordare selettivamente solo situazioni e fatti piacevoli e positivi, dimenticando, o dando meno rilevanza, a quelli meno soddisfacenti o negativi, che comunque vengono in retrospettiva visti in modo edulcorato; vale anche per le decisioni prese in passato, che tendono ad essere valutate come migliori di quello che veramente sono state.

La correlazione illusoria si manifesta quando creiamo nella nostra mente una falsa idea di relazione causa-effetto: ci aggiustiamo i calzini sul campo da tennis prima di un servizio vincente, e ci convinciamo che tale gesto ne sia stato la causa. Dopo di che aggiustarsi i calzini prima di servire diverrà un abituale gesto scaramantico. Fin qui, ovviamente, nulla di serio; tale bias può però comportare gravi distorsioni di giudizio quando, ad esempio, si associa l’appartenenza a un gruppo di minoranza con la messa in atto di comportamenti negativi. Questo porta alla creazione di uno stereotipo sociale per cui i membri del gruppo stesso vengono automaticamente classificati come pericolosi o comunque da evitare o tenere a distanza. La correlazione illusoria funziona al contrario quando stereotipi razziali, etnici, religiosi o geografici, trasmessi e acquisiti per altre vie al di fuori di qualunque evidenza, influenzano le nostre credenze sulle covariazioni, spingendoci a percepirle anche in assenza di dati a loro sostegno. In sostanza questo meccanismo cognitivo serve a semplificare e ordinare la realtà fornendoci indicazioni per prevedere e influenzare situazioni e fenomeni. Purtroppo a volte si tratta solo di una auto illusione.

Infine, l’effetto ambiguità ci porta ad evitare le opzioni che, per qualunque motivo, ci appaiono fuori dalle nostre possibilità di controllo. Ciò può dipendere dalla mancanza di informazioni, dalla scarsa credibilità delle fonti, da un elevato livello di rischio o, anche, da una percezione di ridotta capacità di esercitare influenza sui possibili risultati. Consideriamo come esempio un’urna contenente 30 palline colorate di rosso, nero e bianco. Sappiamo con certezza che dieci palline sono rosse, mentre per le altre venti sappiamo solo che tutte le combinazioni di nero e bianco sono equiprobabili. Immaginiamo ora una lotteria con due opzioni consistenti, rispettivamente, nell’estrazione di pallina rossa e di una pallina nera. Entrambe le opzioni producono una vincita di 100 Euro. Quale scegliere? E’ stato sperimentalmente dimostrato che la maggior parte delle persone tende a selezionare l’opzione della pallina rossa, nonostante il fatto che sia molto semplice rendersi conto che in entrambi i casi la probabilità di vincere è pari ad un terzo (infatti nella seconda opzione nera il numero delle palline nere è aleatorio ma ugualmente distribuito tra 1 e 20) La reale differenza tra le due opzioni è che quest’ultima sembra definita in modo più ambiguo. Prevale quindi la naturale tendenza a favorire comunque le opzioni per cui sono disponibili maggiori informazioni, anche nei casi in cui, dal punto di vista pratico, ciò non fa nessuna differenza.

Imparare a riconoscere i bias di controllo è importante per mantenere la giusta misura nelle nostre azioni, nei comportamenti, nelle decisioni. E poi, naturalmente, nelle relazioni con gli altri per evitare di riporre fiducia in persone che dichiarano la loro vocazione al controllo ma hanno, con tutta evidenza, smarrito il senso della realtà.