7 settembre 1812, ore 5 del mattino. Una densa foschia si alza dal fiume Kolocia, nei pressi del villaggio russo di Borodino, circa 120 Km a ovest di Mosca. Sulla riva destra del fiume si fronteggiano l’esercito russo e quello di Napoleone Bonaparte, in tutto più di duecentocinquantamila uomini, quarantamila cavalli, oltre mille cannoni. Alle 5:24 l’esercito francese riceve l’ordine di attacco. Inizia così la più grande battaglia della campagna di Russia, al termine della quale i russi furono costretti a ritirarsi, lasciando sul campo metà del loro esercito e sgombrando a Napoleone la strada per Mosca. Ma l’esercito francese, duramente provato, non si riprenderà più. Arrivato a Mosca il 14 settembre, il 18 ottobre è costretto a una delle più disastrose ritirate della storia. Un mese prima, il 18 agosto, Napoleone era entrato vincitore in una Smolensk semidistrutta, senza aver subito grosse perdite, ma con le truppe già logorate. Avrebbe potuto fermarsi, riorganizzarsi, far riposare gli uomini e lasciar trascorrere l’inverno prima di avanzare, come qualcuno gli aveva suggerito e come lui stesso aveva inizialmente pensato. Tuttavia la possibilità di una vittoria definitiva e di una trionfale entrata a Mosca costituivano una prospettiva per lui troppo allettante.
Coltivare ambizioni e aspettative non realistiche è uno degli errori più comuni cui può incorrere chiunque eserciti un ruolo di leadership. Anche se è l’entusiasmo che a volte spinge a formulare obiettivi che sono impossibili da conseguire, ciò produce un pessimo effetto sul morale delle persone che percepiscono di non essere in grado di conseguirli. Il livello di prestazione di conseguenza si riduce ulteriormente e aumenta il gap tra aspettativa e realizzazione effettiva. Ricordiamo sempre che gli obiettivi che poniamo a noi stessi e all’organizzazione devono essere sfidanti, ma credibili. In caso di errore dovuto a un eccesso di ottimismo, è necessario essere pronti a riconoscerlo, ad aggiustare il tiro e a fornire feed-back positivi a coloro che hanno operato con un buon livello di ingaggio.
Nel seguito verranno descritti brevemente altri errori frequenti (le trappole della leadership), determinati in molti casi da una insufficiente riflessione sulle linee di fondo, sulle prospettive, sulle priorità, su possibili alternative migliorative rispetto alla via che stiamo percorrendo. E’ importante, quindi, essere in grado di tanto in tanto di distaccarsi dai pensieri e dalle attività correnti per il tempo necessario a effettuare un’auto-valutazione complessiva sui modi con cui svolgiamo i nostri compiti e gestiamo il nostro sistema di relazioni. Una delle preoccupazioni che maggiormente ostacolano tale valutazione è legata alla “perdita di tempo”; ma dobbiamo tener presente che nella maggior parte dei casi la vita professionale somiglia più a una maratona che a una gara su 100 metri: rallentare ogni tanto per mettere a punto strategia e tattica della corsa può allora rivelarsi molto utile. In effetti, assorbiti dal turbine delle attività quotidiane, è possibile non accorgersi di essere rimasti intrappolati in un circolo vizioso, cioè da un accrescersi continuo del volume delle attività e delle decisioni cui far fronte causato non da effettive esigenze, ma da qualche errore fondamentale e inconsapevole di comportamento. Un esempio è riportato nella figura: in questo caso l’errore iniziale è stato quello di prendere una decisione frettolosa, senza aver acquisito tutte le necessarie informazioni, che ha ridotto il livello di credibilità nei confronti di colleghi e collaboratori; poiché questi ultimi si fidano ora un po’ meno della nostra capacità di giudizio, diventerà più difficile ottenere le informazioni che di volta in volta sono richieste per ulteriori attività/decisioni; sarà quindi inevitabile che tali attività/decisioni richiedano più fatica ed energia, producendo risultati inferiori alle aspettative e soprattutto non proporzionati all’impegno profuso. Il rischio maggiore è che il ciclo si autoalimenti generando una tale mole di lavoro da assorbire tutte le energie, senza lasciare alcuno spazio residuo per diagnosticare il problema effettivo. L’unico modo per uscirne è quello di riconoscere che l’aumento di lavoro non è la causa di prestazioni non ottimali, ma viceversa. Per invertire il ciclo bisogna allora rallentare fino al punto di migliorare la qualità delle decisioni, recuperando gradualmente fiducia e credibilità.

Un esempio di circolo vizioso causato da un errore di decisione
Isolamento
Può succedere di essere talmente presi dallo svolgimento diretto di compiti da trascurare di “connettersi” con le persone che fanno parte del proprio sistema di relazioni. Come abbiamo già osservato, le persone richiedono attenzione: non necessariamente in modo continuo, anche solo di tanto in tanto e per pochi istanti, l’attenzione che prestiamo agli altri deve tuttavia essere, ed essere percepita, come “totale”. Non rimaniamo allora sempre chiusi da soli nel nostro ufficio, stanza, studio, anche se abbiamo molte urgenti cose da fare, e cerchiamo di dedicare ai colleghi e collaboratori il tempo che la specifica situazione richiede.
Una sola ed unica risposta giusta
The one right way di memoria fordista è un concetto errato alla radice: difficilmente si verifica l’esistenza di un unico modo “giusto” per fare e/o decidere. Le dimensioni dei problemi reali sono infatti così numerose e varie che la scelta tra diverse soluzioni può essere influenzata in modo decisivo da piccolissime differenze di percezione. Affezionarsi troppo e troppo rapidamente alla prima soluzione che appare appropriata determina una caduta di attenzione sia nei confronti dei meriti delle possibili alternative, sia nei confronti dei punti di vista dei loro sostenitori, che si sentono ingiustamente poco apprezzati. Ovviamente, non vogliamo sostenere che ogni decisione debba essere presa sulla base di estenuanti dibattiti e solo se tutti siano stati convinti; quando però si devono affrontare questioni di qualche rilevanza è opportuno ascoltare con attenzione e senza chiusure mentali chiunque abbia proposte motivate.
Eccesso di iniziativa
Un leader creativo, pieno di idee e di iniziativa, ha certamente un effetto trainante sui collaboratori. Il pericolo consiste nel lanciare l’organizzazione in molte iniziative su molti fronti (ricordiamo il caso della Apple alla fine degli anni ‘80, in cui la passione di Steve Jobs per l’innovazione ha costituito insieme un punto di forza e un serio limite alla crescita): è difficile infatti dedicare risorse in quantità sufficiente a una miriade di progetti. Non raggiungendo la massa critica, alcuni di questi non produrranno risultati, o li produrranno in tempi eccessivamente lunghi. Inoltre, la dispersione non favorisce una chiara individuazione di priorità: la visione, e il posizionamento del leader di fronte alle diverse vie percorribili per lo sviluppo, appaiono incerti e di conseguenza gli agenti, anche se molto motivati, possono sentirsi privi di orientamento e di guida. Anche se creatività ed entusiasmo ci spingono a impegnarci su molti fronti, cerchiamo allora di bilanciare il ventaglio di iniziative con le risorse disponibili, indicando con chiarezza quali debbano essere perseguite con priorità e quante debbano mantenersi a un livello semplicemente esplorativo.
Perdonare troppo
Un leader che si senta eccessivamente responsabile della cattiva prestazione di uno dei componenti della squadra può arrivare a disperdere tempo ed energia preziosi per cercare di compensarla e per tentare di aumentare il livello di ingaggio del soggetto in questione. Un tale comportamento ha, entro certi limiti, un effetto motivante, perché dimostra l’importanza che il leader assegna anche all’ultimo membro del team. Se però si prolunga troppo nel tempo finisce con il generare perplessità e scontento tra coloro che forniscono il massimo impegno. E’ opportuno quindi che vengano stabiliti con chiarezza sia il metodo con cui vengono misurati e comparati i punti di forza e di debolezza di ciascuno, sia il termine oltre il quale prestazioni inferiori alle aspettative possano determinare l’allontanamento.
Lasciarsi catturare
Un leader non deve necessariamente ascoltare tutti prima di decidere, anche se, tutte le volte che la situazione operativa lo consente, è bene si raggiunga un vasto e informato consenso. Il “posizionamento” (uno degli “strumenti” della leadership) consiste anche nell’individuare un gruppo di persone rappresentative e stimate cui far riferimento. Un errore che si commette spesso consiste proprio nella scelta sbagliata di questo gruppo: per un difetto di valutazione delle caratteristiche delle persone in questione e del loro ruolo all’interno del sistema di relazioni organizzative, il leader si lascia “catturare”, anche se in buona fede, da argomenti e opinioni di parte. Ne risultano non solo decisioni errate, ma anche una diminuzione del peso della leadership nel funzionamento dell’organizzazione: la caduta in questo tipo di trappola si manifesta infatti sotto forma di una accresciuta necessità di far ricorso agli strumenti del potere gerarchico. Per evitarla, oltre evidentemente alla cura nella scelta del gruppo di riferimento, è opportuno lasciare aperti tutti i possibili canali di comunicazione e prestare molto “ascolto” anche alle minime sensazioni di disagio che provengono dalle diverse parti della struttura.
Non rinnovare la squadra
Il 24 aprile 1980 otto elicotteri Sea Stallion decollarono dalla portaerei americana Nimitz, in navigazione nel Golfo Persico, su ordine diretto del presidente Jimmy Carter. Destinazione una località segreta nel deserto iraniano, ove doveva essere assemblata una squadra d’attacco con l’obiettivo di liberare i 52 ostaggi detenuti da sedicenti “studenti islamici” nell’ambasciata USA di Teheran da quasi sei mesi. La missione fu un disastro per una serie di incidenti ed errori logistici che avrebbero potuto essere evitati con una più accurata pianificazione. Nei manuali questo episodio è riportato come un esempio di “groupthink”, ovvero del fenomeno che si produce quando in una squadra che rimane per troppo tempo invariata prevale il senso di appartenenza e di coesione sull’obiettività delle valutazioni e sullo spirito critico: si prendono allora decisioni sbagliate, si sottovalutano i rischi e, nonostante l’indiscusso impegno delle persone, diminuisce il livello di prestazione. Un vecchio detto recita, a ragione, “squadra vincente non si cambia”. Però esistono almeno due controindicazioni all’immutabilità di una compagine anche molto efficiente e performante. In primo luogo, il fenomeno cui abbiamo appena accennato. In secondo luogo la presenza del leader, all’inizio fonte di apprendimento e di stimolo, può divenire soffocante per coloro che abbiano beneficiato del processo di crescita innescato e guidato dal leader stesso. Anche se alle persone più brillanti viene lasciata totale autonomia, è difficile che essi non si sentano comunque “sotto osservazione”; opereranno quindi in modo poco spontaneo e con una propensione al rischio troppo bassa. Può essere doloroso separarsi dai migliori collaboratori, ma è utile che coloro che hanno raggiunto un adeguato livello di maturità vengano collocati in posizioni di leadership in altri comparti dell’organizzazione, in cui potranno svolgere con efficacia il proprio ruolo e contribuire alla crescita complessiva.