Edward Hall, l’antropologo statunitense che ha coniato il termine prossemica, definisce questa disciplina “lo studio di come l’uomo struttura inconsciamente i microspazi – le distanze tra gli uomini mentre conducono le transazioni quotidiane, l’organizzazione dello spazio nella propria casa e negli altri edifici e infine la struttura delle sue città” (La dimensione nascosta – Bompiani).
Esattamente come succede nel mondo animale, anche noi quotidianamente agiamo un nostro territorio, sia esso lavorativo, domestico, turistico, ludico etc., all’interno del quale ci muoviamo e ci comportiamo secondo regole ben precise e che molto dice di noi e del rapporto che istauriamo con l’altro.
Sostanzialmente la distanza in base alla quale l’uomo regola i rapporti interpersonali è detta spazio prossemico o bolla prossemica. Si tratta, naturalmente, di uno spazio mentale che esiste nella nostra mappa del mondo e viene convenzionalmente quantificato in una distanza circolare il cui raggio misura, più o meno, dai settanta ai cento centimetri. Ognuno di noi, nella maggior parte del proprio tempo, adotta comportamenti che consentano di salvaguardare tale spazio vitale (si pensi ad esempio ai comportamenti che adottiamo quasi inconsapevolmente su un treno o un pullman volti a dissuadere gli altri ad entrare o a sedersi vicino a noi come rimanere in piedi o rovistare nelle cappelliere o ancora disseminare i nostri bagagli nei posti rimasti liberi).
In realtà lo spazio prossemico è estremamente variabile e fortemente condizionato da fattori personali e culturali: le popolazioni europee, asiatiche e indiane sono, ad esempio, caratterizzate da una cultura della distanza ma lo spazio pubblico può diventare privato, al contrario nelle popolazioni arabe, sudamericane e latine domina la cultura della vicinanza sebbene esista una netta differenziazione tra spazio pubblico e spazio privato.
Gli studiosi di comunicazione sono arrivati a distinguere quattro diverse distanze prossemiche:
- La distanza intima che va da 0 a 45 centimetri circa e che è appunto quella che si istaura, ad esempio, con il partner. A tale distanza si può percepire tutto dell’altro: il calore, l’odore, le sue emozioni, i suoi sguardi. Il tono di voce è caldo ma basso.
- La distanza personale che va da 45 a 70/100 centimetri è quella adottata da amici o comunque da persone che provano attrazione verso l’altro. La distanza personale permette il contatto fisico, una grande complicità di sguardi ma non la sfera più intima legata alla pura sensorialità.
- La distanza sociale che va dai 120 ai 200 centimetri viene, invece, adottata negli affari impersonali ed è di solito mantenuta negli incontri occasionali o durante i convenevoli. La distanza sociale all’interno di un gruppo lavorativo può rivelare molte cose: a questa distanza, ad esempio, un dirigente può, rivolgendosi a un suo impiegato, comunicargli tutto il potere che il proprio ruolo gli conferisce solo guardandolo dall’alto in basso.
- Per finire c’è la distanza pubblica che va dai 200 centimetri in su ed è quella che ci inserisce in un vero e proprio ambiente più che a contatto con qualcosa o qualcuno. E’ il caso di riunioni formali o eventi ai quali assistiamo come pubblico. In queste occasioni la disposizione dei corpi nello spazio esprime anche il diverso tipo di relazione sociale che è in atto di volta in volta. Gli individui, infatti, organizzeranno lo spazio circostante come spazio sociale secondo i diversi status di appartenenza, attraverso relazioni di uguaglianza o di disuguaglianza alle quali corrisponderà un modo di disporsi simmetrico o asimmetrico, oppure scaturiranno tendenze all’avvicinamento o all’allontanamento.
E’ curioso notare come ad ogni distanza corrisponda una diversa percezione e come tale percezione prossemica si ribalti a seconda dei rapporti con l’altro: se un perfetto sconosciuto, o un collega poco gradito si avvicina la cosa ci infastidisce, al contrario nel rapporto intimo l’avvicinamento viene vissuto con piacere mentre l’allontanamento non genera sollievo bensì sofferenza.
La prossemica è chiaramente influenzata da tanti fattori: lo status sociale dell’altro, fattori etnici, comportamentali, stati d’animo e così via.
Lo status di colui che abbiamo di fronte, ad esempio, influenza la dimensione della zona personale: tanto più elevata è la posizione sociale o lavorativa, tanto più ampia sarà la sua sfera prossemica e la libertà di azione. Ad esempio alti dirigenti o alte cariche dell’esercito reputano normale, se non doveroso, violare la distanza intima dei propri subordinati.
O ancora una persona particolarmente estroversa, per carattere, lavoro o cultura, tenderà più facilmente a violare lo spazio prossemico dell’altro il quale a sua volta, potrà rispondere in modo differente. Una persona nervosa mostrerà di tollerare meno degli altri tale violazione, una persona triste o depressa potrebbe non accorgersene neanche, mentre una persona serena, felice o semplicemente espansiva troverà tale violazione addirittura piacevole.
La distanza che siamo soliti creare tra noi e gli altri è anche influenzata da vissuti personali (una persona che ha subito violenza tenderà ad essere particolarmente sensibile all’avvicinamento dell’altro), dal sesso ( è scientificamente provato che le donne preferiscano un avvicinamento frontale mentre gli uomini quello laterale) o dall’ambiente nel quale ci troviamo ad agire (un ambiente particolarmente opprimente e minaccioso rende le persone più circospette e aggressive). La prossemica è infatti molto legata al concetto di territorialità intesa come vera e propria area geografica che assume risvolti e significati psicologici ben precisi nel corso degli scambi comunicativi. Naturalmente esiste un territorio pubblico e un territorio domestico. Nel primo ognuno di noi ha libertà di accesso ma tale accesso è regolato da norme, vincoli ufficiali e vere e proprie sanzioni in caso di trasgressione. Nel territorio domestico entriamo in contatto solo con persone che conosciamo bene e quindi ci muoveremo con un maggior senso di libertà e senso di agio.
Oltre al binomio vicinanza/ distanza sono state riconosciute come dimensioni significative del comportamento spaziale anche altri fattori quali:
- l’altezza tra due o più interlocutori (che può variare stando in piedi, utilizzando scarpe con il tacco, modificando la propria postura);
- l’angolazione con la quale due persone si pongono nello spazio e che denuncia una maggiore o minore intimità ma anche un maggiore o minore grado di interesse;
- il movimento nell’ambiente fisico come succede ad esempio con l’occupazione dei posti ad una riunione o ad un evento aziendale oppure nel decidere se rimanere seduti dietro la scrivania o fare il giro e andare incontro agli interlocutori.
Tutti questi dati, queste sfumature, contribuiscono a mettere in crisi la convinzione che si possa far riferimento a una medesima esperienza sensoriale e comunicativa che accomuni indistintamente tutti gli uomini. Come abbiamo visto, sebbene brevemente, l’esperienza prossemica vissuta da ciascun individuo è profondamente caratterizzata dalla cultura di appartenenza oltre che dalla lingua e dal vissuto personale.
Chiuderei questo ciclo di articoli dedicati alla comunicazione con una frase di Cesare Pavese che sento molto mia e che recita così: Tutto il problema della vita è dunque questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con gli altri!