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L’arte di fare silenzio

Di parlare, come è noto, sono capaci tutti

(Carl Gustav Jung)

Prendo in prestito questa affermazione di Jung per aggiungere che se di parlare sono capaci tutti, di tacere sono capaci veramente in pochi. Parliamo in continuazione, malamente, spesso in modo sconsiderato ed eccessivo, ad alta voce, in pubblico, fuori luogo, senza motivi specifici. Ci siamo abituati a vivere in un mondo fatto di parole, rumore e caos, di comunicazioni costanti e frenetiche, di suoni diversificati ma ininterrotti, di connessioni illimitate e … abbiamo perso il gusto del silenzio, ce ne siamo allontanati al punto da averne quasi timore. Si, perché, spesso il silenzio viene visto, erroneamente, come una sorta di pausa investigativa della coscienza, un duello con se stessi, le proprie paure, un momento nel quale fare i conti con la propria coscienza anche quando non se ne ha voglia. Di qui la necessità di riempire la nostra esistenza di rumori, di parole, di rapporti e comunicazioni come se il caos informativo fosse la panacea di tutti i nostri mali, come se la confusione con la sua routine ci proteggesse anche da noi stessi.

Ma non è sempre così, anzi, in molti ambiti il silenzio assume un ruolo fondamentale. Viene, ad esempio, considerata una forma di grande rispetto collettivo osservare alcuni minuti di raccoglimento e silenzio durante la commemorazione di persone defunte; o ancora si pensi al fatto che in alcuni Stati, il diritto al silenzio è una vera e propria forma di protezione legale In campo religioso la pratica del silenzio viene considerata una disciplina spirituale, soprattutto in ambito orientale ma anche nelle regole cristiane il silenzio è uno dei vincoli obbligatori della vita comunitaria. I costituenti americani, quando si riunirono nella Indipendence Hall per scrivere la Costituzione degli Stati Uniti d’America, fecero coprire di terra le strade che circondavano la sede dei lavori per garantirsi silenzio e tranquillità e ancora oggi, in Giappone, quando un componente ritorna da un lungo viaggio, la famiglia si riunisce intorno al tavolo, bevendo tè, in completo silenzio.

Esiste un momento per tacere, così come esiste un momento per parlare. Nell’ordine, il momento per tacere deve venire sempre prima: solo quando si sarà imparato a mantenere il silenzio, si potrà imparare a parlare rettamente e ancora Mai l’uomo è padrone di sè come quando tace: quando parla sembra, per così dire, effondersi e dissolversi nel discorso, così che sembra appartenere meno a se stesso che agli altri. Questa apologia del silenzio è contenuta nello splendido volumetto, scritto nel 1771 dall’abate Joseph Antoine Toussaint Dinouart, intitolato, appunto Arte di tacere.

L’autore distingue due modi di tacere: trattenendo la lingua e trattenendo la penna. Spesso si scrive male, si scrive troppo e su cose inutili oppure non si scrive abbastanza. Il buon senso e la ragione devono guidare tutte le scelte comunicative, orali o scritte che siano perché solo in questo modo sarà possibile mantenersi sulla strada della giusta misura. Nell’ultima parte del trattato l’Abate espone dodici principi, una sorta di elenco di regole del buon senso che mostrano ancora tutta la loro attualità e validità e alcuni dei quali ho piacere di ricordare. Il primo principio, ad esempio, afferma che è bene trattenere la penna, se non si ha da scrivere qualcosa che valga più del silenzio; il quarto ricorda, invece, che trattenere la penna quando si è obbligati a scrivere è segno di debolezza e di imprudenza, ma scrivere quando si dovrebbe trattenere la penna è segno di leggerezza e di scarsa discrezione; infine l’ultimo, il dodicesimo, sostiene che desiderare fortemente di scrivere una cosa è motivo sufficiente per astenersene ovvero è bene meditare, riflettere prima di comunicare qualsiasi cosa in modo da avere la certezza di essere riusciti a frenare e correggere i primi impulsi.

Scrive Oscar Wilde A volte è meglio tacere e sembrare stupidi che aprire bocca e togliere ogni dubbio. Questo naturalmente non vuole essere un incitamento al silenzio cosmico, un’esortazione ad abbandonare ogni tentativo di far conoscere le proprie idee, ma l’invito a riflettere sull’importanza del silenzio all’interno di ogni organizzazione, familiare, lavorativa o aziendale che sia. Ognuno di noi deve, senza ombra di dubbio, saper comunicare all’interno della propria organizzazione, del proprio nucleo ma deve anche saper imparare a tacere quando è necessario, quando la situazione lo richiede o lo impone. Questo perché il silenzio, anzitutto, consente di ascoltare veramente, in profondità e attentamente, le necessità dell’altro e ci definisce, quindi, le priorità del nostro agire. Nella confusione o nel continuo chiacchiericcio, infatti, finiamo per udire solo ciò che prevale e non ciò che è più importante o urgente. Allo stesso tempo il nostro silenzio valorizza chi ci sta accanto, chi sta intessendo un dialogo con noi, lo esorta a confidarsi, ad offrirsi senza paure né riserve. Ascolto e silenzio sono le modalità attraverso cui si esplica la comprensione Quest’ultimo dato può essere particolarmente utile in ambito lavorativo perché può agevolare e stimolare pensieri creativi e processi innovativi. Il silenzio, poi, crea le condizioni perché ci si possa interrogare in profondità, in merito alle scelte compiute o da compiere, al ruolo che vogliamo agire, ai progetti e ai modelli che vogliamo perseguire. Infine non va dimenticato che, come accennato negli articoli precedenti de Il punto legati al linguaggio, anche il silenzio parla. In assenza di parole parlano gli occhi, il volto, il corpo e non mentono, non cercano scorciatoie, vanno diritte alla metà. Quante volte, nel corso della vita, è stato più incisivo un abbraccio, un complice scambio di sguardi, un gesto piuttosto che una qualsiasi parola scritta o parlata?

Dunque l’arte del tacere è una disciplina estremamente difficile ma ricca di sfumature e di benefici, un modo di insegnare agli altri ad interpretare senza l’ausilio delle parole, un vero e proprio esercizio altruistico e non solo un banale fatto di galateo e buone maniere.

Se poi la vita ci obbliga a parlare a tutti i costi difendiamoci ricorrendo a poche, preziose e selezionate parole come quelle che compongono uno dei capolavori della musica di tutti i tempi: Enjoy the silence dei Depeche Mode (1990)

All I ever wantedAll I ever needed

Is here in my arms

Words are very unnecessary

They can only do harm