Skip to content

Tecnologia, aritmetica e risorse: ragionamento sui futuri possibili

Nel 1779 Ned Ludd, un giovane operaio inglese, distrusse un telaio in segno di protesta contro i bassi salari e la disoccupazione generati dalla rivoluzione industriale. Non è certo che Ludd sia veramente esistito; certo è, però, che a suo nome si ispirò un movimento di protesta operaio che nel periodo 1811-1813 generò, specialmente in Inghilterra, numerosi tumulti caratterizzati dalla distruzione di macchine industriali.

Il Luddismo è stata la prima espressione e-splicita dei timori generati dal progresso tecnologico. All’epoca tali timori riguardavano essenzialmente il mondo del lavoro; nel corso del tempo le preoccupazioni legate allo sviluppo delle tecnologie si sono estese anche ai rischi di potenziali conflitti condotti con armi sempre più sofisticate e letali, all’am-biente, ai comportamenti sociali e all’esaurimento di preziose risorse non rinnovabili.

Nelle rappresentazioni dei futuri possibili prevalgono nettamente quelle distopiche. Non certo perché siano più attendibili, ma perché attirano di più l’attenzione, si “vendono meglio”, presentano come manipoli di eroi coloro che si battono e si batteranno in futuro contro governi e colossi industriali. In realtà le varie previsioni che sono state avanzate nel tempo non sono mai andate neanche lontanamente vicino alla realtà; e questo a cominciare da quelle luddiste o neo-luddiste: finora la storia ha dimostrato che l’introduzione di nuove tecnologie ha sempre portato a maggiori consumi e a un miglioramento generaliz-zato delle condizioni di vita. Ma ovviamente nessuno può garantire che continui così.

Mentre le visioni ottimistiche del futuro si fanno sempre più rare, spesso il pessimismo tende a trasformarsi in cinismo, ovvero in una generalizzata mancanza di fiducia nelle istituzioni, nel prossimo, nell’umanità nel suo complesso, e alla rinuncia a qualunque ideale di speranza e di progresso, con un conseguente diffondersi di comportamenti asociali quando non addirittura poco etici.

Uno sguardo al passato rivela quanto sia difficile effettuare previsioni, specialmente quando c’è di mezzo la tecnologia. Riportiamo qualche esempio:

Dionysius Lardner (1793-1859), professore di astronomia all’University College di Londra, affermò nel 1835: «I treni non potranno mai viaggiare ad alta velocità perché, superati i 190 Km/h, si disintegreranno uccidendo i passeggeri».

William Orton (1826-1878), presidente della United States Telegraph Company, nel 1878 scrisse in un memorandum interno relativo alla proposta di acquisizione per 100.000 dollari della compagnia telefonica di Alexander Graham Bell: «Il telefono ha troppi difetti per essere considerato un effettivo mezzo di comunicazione. È solo un giocattolo senza va-lore».

Darryl Francis Zanuck (1902-1979), fondatore e capo della 20th Century Fox, all’inizio degli anni ’50 dichiarò: «La televisione non ha mercato. Dopo al massimo sei mesi le persone si stancheranno di guardare una scatola tutte le sere».

Thomas Watson (1874-1956), presidente IBM, nel 1943: «Il mercato mondiale non potrà mai assorbire più di 5 computer all’anno».

Possiamo anche ricordare il famoso e bellissimo film 2001 Odissea nello spazio, uscito nel 1968, dopo quattro anni di lavorazione, per la regia di Stanley Kubrik su soggetto di Arthur Clarke. Il film offriva numerose   antici-pazioni sulla tecnologia del 2001; per queste Kubrik si avvalse della consulenza di specia-listi e di alcune grandi aziende come IBM, General Electric, Bell, Honeywell, RCA e Whirpool. Ciò nonostante l’unica previsione che si è avverata riguarda la capacità dei computer di battere a scacchi gli esseri umani.

Qualche volta l’incapacità di prevedere evoluzioni tecnologiche ha avuto conseguenze catastrofiche, come nel caso della Kodak. Nel 1975 Steven Sasson, un ingegnere della Eastman Kodak, brevettò la prima fotocamera digitale. Grande come un tostapane, quasi quattro chili di peso, registrava su una cassetta immagini in bianco e nero alla risoluzione di 0,01 megapixel. I dirigenti della Kodak, che pure avevano sponsorizzato il progetto, forse anche influenzati dall’enorme differenza qualitativa con la fotografia chimica, non riuscirono a cogliere il potenziale dirompente di tale innovazione e osservarono: «Chi vorrà mai guardare le foto dei propri figli su uno schermo?». La Kodak proseguì così nelle sue tradizionali e all’epoca estremamente profit-tevoli linee di business. Nel 2009 il Presidente Obama conferì all’Ing. Sasson la National Medal of Technology and Innovation, la più alta onorificenza concessa negli USA a scienziati e inventori. Tre anni dopo la Kodak dichiarava fallimento.

Non sono però mancate anche straordinarie intuizioni fuori tempo, come quelle di Leonardo Da Vinci, o come le anticipazioni fantascientifiche di Giulio Verne. Da questo punto di vista, tuttavia, il caso più eclatante è quello di Charles Babbage (1791-1871), una delle menti più geniali dell’era moderna. Matematico inglese, inventò e realizzò una incredibile quantità di strumenti e di tecniche per migliorare i processi produttivi, le comunicazioni, i servizi. Ma la  sua fama è dovuta soprattutto a due trattazioni teoriche: la prima, il pro-getto, mai realizzato, di una serie di macchine da calcolo; la seconda, un trattato di politica economica e industriale che anticipava di decenni le opere di  John Stuart Mill, di Karl Marx, di Fredriech Taylor. La più ambiziosa delle macchine da calcolo progettate da Babbage, il “motore analitico”, incorporava, con una tecnologia meccanica, tutte le caratteristiche che si ritroveranno, quasi due secoli dopo, nei primi calcolatori elettronici: sistemi separati per la memorizzazione dei dati e per l’esecuzione dei calcoli; controllo a schede perforate; una varietà di periferiche; persino un processore vettoriale. La macchina era così sofisticata per la sua epoca e per la complessità della meccanica necessaria al funzionamento che Babbage non riuscì mai a costruirla. Negli anni ’80 un team finanziato dal Museo della Scienza londinese costruì una versione completa e funzionante del “motore differenziale”, una delle prime macchine da lui progettate e realizzate solo parzialmente. Il prototipo costruito dopo più di centocinquanta anni dalla sua concezione consisteva di oltre 4.000 componenti, pesava tre tonnellate, era largo tre metri e mezzo e alto due; messo in funzione nel 1991 produsse risultati accurati alla trentunesima cifra decimale.

Una previsione sullo sviluppo tecnologico che sembra reggere alla prova del tempo è quella formulata da Gordon Moore, fondatore di Intel, in un famoso articolo dall’eloquente titolo “Cramming More Components onto Integrated Circuits” pubblicato sulla rivista Electronics il 19 aprile 1965. La legge di Moore stabilisce che il numero di transistor contenuto in un microprocessore raddoppia ogni 18 mesi. In effetti lo sviluppo e il lancio di nuove gene-razioni di chip ha rispettato finora questa previsione di crescita esponenziale con sorprendente regolarità. È interessante vedere cosa succederà quando le attuali tecnologie di produzione raggiungeranno il loro limite fisico: attualmente i microprocessori più potenti hanno circuiti di circa 14 nanometri, ma quando si arriverà all’ordine dei 2-3 nanometri, i componenti si avvicineranno alle dimensioni atomiche e saranno quindi molto instabili; inoltre, con tale densità di circuiti, sarà molto difficile dissipare il calore prodotto. Quindi, o si verifica l’emergere di una nuova tecnologia, oppure anche la legge di Moore perderà la sua capacità previsiva.

Molte previsioni di grande successo, anche mediatico, si basano, come la legge di Moore, sull’estrapolazione esponenziale delle tendenze in corso. Molti fenomeni naturali e sociali seguono infatti una legge di questo tipo. Le conseguenze di comportamenti esponenziali sono quasi sempre sorprendenti: all’inizio, infatti, la crescita esponenziale è molto lenta (cfr. Fig.1), e il relativo fenomeno può quindi passare inosservato; poi, improvvisamente, la curva si impenna e, quando il fenomeno diventa evidente, può essere troppo tardi per porvi rimedio. Albert A. Bartlett (1923-2013), professore di fisica nell’Università del Colo-rado a Boulder, ha studiato a lungo fenomeni come la crescita della popolazione e dei consumi di energia sottolineando come tassi di crescita che appaiono non preoccupanti possano in realtà nascondere serie minacce per il futuro del genere umano e ha sostenuto che «…il più grande limite della razza umana è la nostra incapacità di comprendere la funzione esponenziale». Bartlett ha svolto una grande opera di divulgazione. La sua famosa presentazione “Arithmetic, Population and Energy”, ancora oggi reperibile sul web, è stata tenuta da lui e dai suoi collaboratori 1472 volte. In effetti l’esponenziale sorprende sempre. Ad esempio se ogni nostro passo è lungo 1 metro, 30 passi ci fanno compiere 30 metri. Trenta passi esponenziali, raddoppiando cioè la loro lunghezza ad ogni falcata, ci farebbero compiere ben 26 volte il giro della Terra! Oppure, se riuscissimo a piegare un foglio di carta a metà per 103 volte raggiungeremmo uno spessore di quasi 100 miliardi di anni luce, oltre il diametro dell’Universo conosciuto.

Questa proprietà dell’esponenziale è anche alla base della famosa leggenda sull’invenzione degli scacchi. Intorno all’anno Mille, un annoiato principe indiano annunciò a tutti che avrebbe soddisfatto qualunque desiderio di colui che fosse riuscito a farlo divertire. Nessuno riuscì nell’impresa finché non si presentò a corte un mercante che insegnò al principe un nuovo gioco di sua invenzione. Il principe si appassionò velocemente e, constatando di non essere più annoiato, chiese al mercante quale ricompensa desiderasse. Questi, con aria dimessa, chiese un chicco di grano per la prima casella della scacchiera, due chicchi per la seconda, quattro chicchi per la terza, e via a raddoppiare fino all’ultima casella. Il principe, stupito dall’apparente esiguità della richiesta, diede ordine affinché essa venisse immedia-tamente esaudita. Ma ben presto i suoi dignitari scoprirono che tale quantità di riso non si poteva ottenere neanche coltivando l’intera superficie terrestre. Non potendo esaudire la richiesta, e non potendo neppure sottrarsi alla parola data, il principe diede ordine di giu-stiziare immediatamente il geniale ma sfortunato mercante.

In effetti il numero di chicchi risultante è di 264-1, pari a 18.446.744.073.709.551.615, più di quanti ne siano stati prodotti nei secoli fino ai nostri giorni. Questa proprietà era notissima durante il Medioevo con il nome di “duplicatio scacherii”, tanto che vi appare un accenno anche nella Divina Commedia (Para-diso, XXVIII, 91-93), dove viene adoperata dal sommo poeta per dare un’idea del numero di angeli presenti nei cieli, talmente tanti che il loro numero supera il raddoppiare di casella in casella nella scacchiera: «L’incendio suo seguiva ogne scintilla/ ed eran tante, che ‘l numero loro/ più che ‘l doppiar de li scacchi  s’inmilla».

La crescita esponenziale è tipica anche delle popolazioni batteriche. Nella già citata presentazione di Bartlett si ipotizza di mettere un batterio in una bottiglia alle 11:00 di mattina. Dopo un minuto, i batteri sono 2; dopo 2 minuti sono 4; dopo 3 minuti sono 8; e così via finché, a mezzogiorno, la bottiglia è piena. Non essendoci più spazio, la popolazione è destinata all’estinzione. Ma quando si accorgono i batteri che la loro risorsa vitale sta per esaurirsi? Se pensiamo che un minuto prima di mezzogiorno la bottiglia è piena solo a metà, è facile rendersi conto che l’imminenza della fine verrà percepita solo pochi secondi prima, quando ormai sarà troppo tardi per intervenire. Immaginiamo però che i batteri dispongano di un governo particolarmente illuminato, che a mezzogiorno meno un minuto annunci la scoperta di nuove ingenti risorse: altre 3 bottiglie della stessa dimensione disponibili per la crescita. Potranno quindi dormire sonni tranquilli? Assolutamente no: alle 12:00 si esaurisce la prima bottiglia, alle 12:01 la seconda, alle 12:02 la popolazione si raddoppia ancora portando alla saturazione le ultime due bottiglie. Insomma, se quando stiamo ancora bene (bottiglia originale con ancora metà dello spazio disponibile) le risorse si quadruplicano, l’estinzione viene rinviata solo di 2 minuti. Bartlett rendeva e-splicita la metafora avvertendo che il genere umano si trova a «un minuto prima di mezzogiorno».

Riflessioni analoghe a quelle di Bartlett, anche se ben più documentate, sono quelle contenute nel famoso “Rapporto sui limiti dello sviluppo”, commissionato al MIT dal Club di Roma e pubblicato  nel 1972, il quale stimava che la crescita economica non potesse conti-nuare  indefinitamente a causa della limitata disponibi-lità di risorse naturali, specialmente petrolio, e della limitata capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del pianeta. L’inizio del collasso economico mondiale veniva collocato all’interno dei primi due-tre decenni di questo secolo. Nel 1992 è stato pubblicato un primo aggiornamento del Rapporto, col titolo “Beyond the Limits”, nel quale si sosteneva che erano già stati superati i limiti della “capacità di carico” del pianeta. Un secondo aggiornamento, dal titolo Limits to Growth: The 30-Year Update è stato pubblicato nel 2004 spostando l’accento dall’esaurimento delle risorse alla degradazione dell’ambiente. Tali previsioni catastrofiche non sembrano per ora confermate dai fatti, anche se non manca chi sostiene che l’attuale evoluzione dell’economia, della popolazione e delle risorse ambientali sia in linea con gli scenari elaborati nei suddetti rapporti.

Un altro scenario critico sullo stesso orizzonte temporale viene dal fronte tecnologico. Come si vede dalla figura 2, nel 2008 il numero di “oggetti” connessi in rete ha superato quello degli esseri umani presenti sulla Terra. La crescita delle interconnessioni ha un chiaro andamento esponenziale ed è facile prevedere che nel 2020 ci saranno ben 50 mi-liardi di oggetti connessi contro una popolazione di circa 7,5 miliardi di persone. Ci trove-remo inoltre nel tratto più ripido dell’esponenziale, che quindi dovrebbe crescere molto velocemente: e quando la rete supererà i 100 miliardi di oggetti interconnessi la sua complessità inizierà ad approssimare quella del cervello umano. Di qui a ipotizzare scenari “alla Matrix”, in cui le macchine prendono il sopravvento sugli uomini, utilizzati come fonte di energia in un mondo completamente depauperato di risorse, il passo è breve.

Insomma, nei prossimi decenni ci aspetta l’i-nizio dell’estinzione? Come vedremo nel prossimo numero, la probabilità che la nostra specie si estingua per esaurimento delle risorse e per sovrasviluppo è piuttosto bassa. Il rischio maggiore per il genere umano è la diffusa incapacità di ragionare in modo scientificamente rigoroso. Se ci sarà una catastrofe la causa non sarà la scarsità di risorse, la sovrappopolazione o i flussi migratori, ma la nostra inefficienza organizzativa e gestionale: in termini più semplici, il nostro vero nemico è la stupidità. Ma di questo parleremo nel prossimo editoriale.