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Diversity management, questo sconosciuto terza parte

Nei numeri precedenti abbiamo rapidamente presentato il tema del diversity management e illustrato tre esempi di pratiche aziendali di inclusione: abbiamo individuato i punti di forza e le soluzioni adottate nel campo della gestione delle differenze da Coca Cola USA, IBM e Deutsche Bank. E in Italia? Quale è la situazione italiana? Sicuramente anche nelle aziende italiane si parla sempre più spesso di politiche inclusive e di lotta a ogni forma di discriminazione ma raramente questo parlare si traduce in azioni concrete o comunque continuate tali da generare un reale cambiamento nel comune modo di sentire.

Come nel resto del mondo anche in Italia i passi più grandi sono stati fatti dalle aziende di grandi dimensioni, favorite, rispetto alle altre, sia dalla maggiore disponibilità economica, umana e organizzativa ma anche dal più prolungato e proficuo contatto con le realtà internazionali. In queste aziende, in tema di welfare aziendale e benessere organizzativo, sono stati fatti grandi passi avanti e in alcuni casi sono stati riconosciuti diritti ancora non legittimati dalla giurisprudenza italiana. È il caso di Eataly che quattro mesi prima che venisse approvata la Legge sulle unioni civili, legge n.76 del 20 maggio 2016, aveva introdotto il congedo matrimoniale anche per le coppie omosessuali nonché la possibilità di usufruire dei permessi per lutto o gravi motivi di famiglia per il/la coniuge.

Ma la pioniera nell’ambito del riconoscimento dei diritti alle famiglie arcobaleno è senza dubbio Telecom che dal 2013 concede permessi retribuiti, in tutto e per tutto equivalenti alla licenza matrimoniale, per i dipendenti LGBT che si sposano all’estero senza trascrizione sui registri dello stato italiano. Non solo: l’azienda ha esteso ai partner conviventi, indipendentemente dal sesso, tutti i benefit (assicurazione medica, auto di servizio etc) e i numerosi servizi come asili nidi, premi studio e altro ancora. In generale, il numero delle aziende che garantiscono il congedo matrimoniale alle coppie omosessuali oltre a periodi di assenza retribuita in caso di malattia del compagno/a si sta allargando piuttosto rapidamente. Oltre a Telecom ed Eataly tra le più grandi vanno citate Luxottica, Ubs, Dhl, General Eletric o ancora Intesa Sanpaolo e Ikea.

Si tratta, appunto, come anticipavamo all’inizio di aziende molto grandi le cui politiche interne sono spesso condizionate dagli omologhi esempi stranieri. Ciò che penalizza le realtà più piccole è senza dubbio la mancanza di strumenti reali di monitoraggio e gestione del cambiamento ma anche una divulgazione, a volte troppo timida, delle proprie iniziative. Due errori che possono contribuire a frenare l’espandersi nel territorio italiano di nuove strategie manageriali capaci di attuare una reale politica di inclusione e valorizzazione delle diversità.

La situazione risulta ancora più “arretrata” se, all’interno del grande insieme delle diversità, si vanno ad analizzare quelle relative alle differenze etnico-nazionali. In Italia esiste una resistenza nei confronti della diversità razziale, culturale e religiosa veramente allarmante. Da una indagine della Commissione Europea del 2014 (Overview of Diversity Management implementation and impact amongst Diversity Charter signatories in the European Union) si evince che l’attenzione che il mondo del lavoro italiano riserva a iniziative volte a valorizzare le differenze culturali risulta pari al 10% dell’impegno complessivo in tema di diversity management. Nel nostro Paese sugli immigrati ricadono gli interessi di un’economia strutturata su rapporti di forza diseguali, oltre che a stereotipi e preconcetti che non solo limitano loro le opportunità di crescita professionale ma addirittura ne favoriscono la marginalizzazione nei processi lavorativi.

Uno degli aspetti più spinosi e ostici è quello legato al riconoscimento delle esigenze collegate al credo religioso. Esistono, infatti, religioni, come quella islamica, che richiedono di seguire determinate pratiche: pregare più volte al giorno, seguire precise regole alimentari, mostrare la propria appartenenza religiosa con evidenti tratti estetici. Mantenere un trattamento equo e contribuire a creare un ambiente realmente inclusivo significa anche accordarsi, al livello manageriale e gestionale, affinché ognuno sia libero di esprimere se stesso nell’ambiente di lavoro. E’ quello che hanno fatto ad esempio alcune realtà imprenditoriali nella provincia di Bergamo, di Lecco e di Vicenza che hanno previsto dei veri e propri luoghi adibiti al culto religioso, hanno dato la possibilità ai dipendenti di fede islamica di allontanarsi dal posto di lavoro per raggiungere la moschea recuperando le ore in turni successivi o ancora hanno avuto l’accortezza di diversificare i prodotti alimentari contenuti nel pacco natalizio per soddisfare le esigenze di tutti e di introdurre nelle mense aziendali veri e propri menù etnici. Esemplare è il caso dell’azienda Castelgarden, dedita alla produzione di attrezzature da giardinaggio. L’azienda ubicata a Castelfranco Veneto è, infatti, tra le prime ad aver affrontato le esigenze dei propri dipendenti di religione musulmana con varie azioni: creazione di spazi interni adibiti alla preghiera, menù diversificati per venire incontro ai dettami alimentari, maggiore flessibilità oraria nel mese del ramadan connessa ad una maggiore attenzione alla salute fisica dei dipendenti costretti al digiuno religioso. Altre aziende hanno poi seguito l’esempio arrivando addirittura, laddove le risorse economiche lo rendevano possibile, all’inserimento di un Imam aziendale e alla traduzione in lingua araba dei documenti più importanti.

Dunque la reale inclusione è possibile! Ovviamente intervenire in azienda attuando un processo di cambiamento culturale e organizzativo è qualcosa di complesso e non propriamente facile. Se però si agisce consapevolmente, in modo determinato, individuando le vie da percorrere e coinvolgendo, soprattutto, l’intera struttura, un nuovo orientamento inclusivo potrebbe rivelarsi facile da adottare. Quello che è certo, dopo aver analizzato tanto la realtà internazionale che quella nazionale, è che il diversity management rappresenti una sfida che fondamentalmente è culturale molto più che economica o gestionale.