«Il più grande limite della razza umana è la nostra incapacità di comprendere la funzione esponenziale». Questa frase, che riprendiamo dall’ultimo editoriale, è di Albert A. Bartlett (1923-2013), professore di fisica nell’Università del Colorado a Boulder, il quale ha studiato a lungo la crescita della popolazione e dei consumi di energia sottolineando il fatto che tassi di crescita apparentemente non preoccupanti possono in realtà nascondere serie minacce per il futuro del genere umano. Moltissimi sono i fenomeni che si evolvono in modo esponenziale: il problema è che ci si rende conto che la dinamica sta accelerando solo quando la curva si impenna, divenendo sempre più ripida, e da quel momento basta poco perché si perda la possibilità di controllo. In effetti, come abbiamo visto nel numero precedente, tutte le previsioni che si basano su leggi esponenziali portano a conclusioni catastrofiche. Il tempo di raddoppio T di una grandezza che cresce a un tasso x può essere calcolato approssimativamente come T=70/x. Ad esempio, il tasso di crescita medio della popolazione mondiale è stato negli ultimi anni del 1,14%. Ciò significa un raddoppio ogni 60 anni circa: la popolazione mondiale arriverebbe quindi a 15 miliardi verso il 2070 e a 30 miliardi nel 2130.
Tuttavia esiste un’altra legge che si adatta benissimo a descrivere l’evolversi di molti sistemi: l’equazione logistica. Ed è interessante notare che le due funzioni, logistica ed esponenziale, si somigliano per un buon tratto (cfr. figura 1). Empiricamente si è visto che molti fenomeni, dopo un’impennata esponenziale, rallentano la loro dinamica fino a raggiungere un asintoto, approssimando quindi una curva logistica. È quello che sta succedendo, ad esempio, per la popolazione mondiale, il cui tasso di crescita è in rallentamento: Roberto Vacca ha calcolato che questa dovrebbe raggiungere un asintoto di 10,7 miliardi di persone verso la metà del secolo. Cesare Marchetti, invece, ha studiato a lungo l’utilizzazione della funzione logistica per previsioni nei settori dell’energia, demografia, tecnologia, trasporti, ecc., ottenendo ottimi risultati: nella figura 2 vediamo come si riesca ad approssimare molto bene l’evoluzione dei diversi sistemi di trasporto a lunga distanza negli USA. Pochi sono, dunque, i fenomeni sociali che, con un’appropriata scelta di parametri, una logistica non riesca a interpolare: la figura 3, tratta dal sito dell’illusionista e scrittore Mariano Tomatis, evidenzia come si riesca addirittura a rappresentare anche la crescita cumulata dei goal segnati da Alessandro Del Piero.
I nostri sistemi sembrano quindi, almeno su scala globale, in grado di autoregolarsi. Non dobbiamo, tuttavia, dimenticare che potenziali fonti di crisi saranno, come già stiamo sperimentando, gli squilibri che esistono tra i sottosistemi. Squilibri che assumono la forma di flussi migratori incontrollati, crescenti disparità nella distribuzione del reddito, divaricazione sociale tra ricchi e poveri con progressiva scomparsa della “classe media”, asimmetria nella percezione dei problemi, radicalizzazione delle forme di intermediazione politica e altri ancora.
Particolarmente impressionante è il fenomeno della crescita delle disuguaglianze. In figura 4 vediamo come la ricchezza delle 80 persone più ricche del mondo sia raddoppiata tra il 2009 e il 2014, fino a superare quella del 50% più povero della popolazione mondiale che, sempre nel 2014, era inferiore a quella posseduta nel 2009. Negli Stati Uniti, in particolare si è registrata una netta inversione del trend che fino al 1979 ha visto il progressivo ridursi della forbice tra i più ricchi e i più poveri. Per capire la portata di ciò che sta succedendo possiamo ancora una volta far ricorso alla funzione esponenziale, non tanto come strumento di previsione, quanto come “lente di ingrandimento” capace di evidenziare le conseguenze estreme dei trend in atto se non si interviene per modificarli. Proiettando infatti esponenzialmente il trend degli ultimi 7 anni si ottiene che tra 4 decenni una ristrettissima élite di meno di 100 persone controllerà la quasi totalità della ricchezza mondiale: ma molto prima di arrivare a questa situazione potremmo assistere a gravissimi fenomeni di “social disruption”.
Si sta pericolosamente diffondendo l’idea che le cause di questo impoverimento del ceto medio siano due: il progresso tecnologico, che vede la sostituzione del lavoro con le macchine, e la globalizzazione, che vede lo spostamento degli investimenti nei paesi a più basso costo del lavoro. In realtà tecnologia e globalizzazione costituiscono opportunità più che minacce. La minaccia reale è costituita dall’incapacità di governare i fenomeni e ottimizzare l’uso delle risorse. Secondo lo storico Joseph Tainter, professore alla Utah State University, quando una società non riesce ad affrontare in modo rigoroso i problemi che di tanto in tanto inevitabilmente si pongono, reagisce con la creazione di nuovi organismi, nuove regole, nuove sovrastrutture burocratiche, economiche e sociali che si sovrappongono a quelle preesistenti. Questo processo finisce per aggravare i problemi stessi invece di contribuire alla loro soluzione. Senza contare l’aumento di complessità del sistema, che diventa pertanto sempre più difficile da governare generando un feedback perverso: vengono create continuamente nuove strutture, finché la società non riesce più a reggerne il peso e collassa rapidamente. Tutto questo si è già verificato molte volte in passato. Nel saggio The collapse of complex societies, Tainter porta numerosi esempi, tra cui quello del declino dell’Impero Romano. Nel III secolo d. C., esaurito il periodo delle conquiste, le energie dello Stato erano rivolte principalmente alla difesa dei confini dalle invasioni barbariche. Per ottenere le risorse necessarie, gli imperatori ricorsero alla produzione di moneta e all’aumento delle tasse. Leggi e controlli severissimi venivano applicati per garantire l’esazione di quanto dovuto. Agricoltori una volta benestanti non riuscirono più a mantenere le loro famiglie, e molti dovettero vendere come schiavi i propri figli. Nel frattempo venivano costruite estese fortificazioni, le amministrazioni provinciali divennero più complesse, nuove città e corti imperiali vennero create, l’esercito e la burocrazia raddoppiarono di peso e consistenza. E mentre i poveri diventavano sempre più poveri, altri godevano di immense ricchezze e/o si impegnavano in spietate lotte per il potere. Per un po’ l’Impero riuscì a tenere i barbari fuori dai propri confini, ma nel lungo periodo le politiche adottate finirono con l’intaccare gravemente la stessa base economica della società, generando un enorme malcontento nella popolazione e, in definitiva, producendone il collasso.
Non è difficile tracciare un parallelo con la situazione che stanno vivendo diversi Paesi del mondo occidentale. Le parole d’ordine degli ultimi anni sono state rigore, meritocrazia, efficienza. Impossibile non condividerle. In pratica, però, ciò che si è verificato è stata una significativa riduzione delle risorse dedicate ad alcuni comparti che concorrono in modo determinante al welfare: si pensi a sanità, educazione, ricerca, solo per citarne alcuni. E, purtroppo, questi tagli hanno avuto un modestissimo effetto sul contenimento della spesa pubblica.
Si tratta di fatto di una realizzazione del “paradosso di Jevons”, così detto perché nasce da un’osservazione dell’economista britannico William Stanley Jevons (1835-1882), secondo cui aumentare l’efficienza nell’uso di una risorsa spesso fa aumentare il consumo della risorsa stessa, anziché diminuirlo. Supponiamo ad esempio che un’innovazione consenta ai Paesi sviluppati di consumare meno petrolio per produrre energia. Ciò determinerà una riduzione della domanda con conseguente abbassamento del prezzo. Quindi il petrolio non consumato sarà destinato a impieghi “inferiori” da parte di Paesi dotati di tecnologie di produzione più arretrate, producendo magari più inquinamento. Un discorso analogo si può ipotizzare per quanto riguarda le risorse finanziarie: ciò che si sottrae a un settore diventa immediatamente disponibile per le molte potenti lobby che si contendono le rendite. Se tutto va bene, ciò che viene effettivamente “risparmiato” è solo una parte, spesso molto piccola, di quanto si crede di aver recuperato.
Ovviamente, anche in questo caso, invece di lavorare per migliorare la qualità degli organi ordinari di governo, la tentazione è quella di creare nuove regole, nuove strutture (spesso in forma di “Autorità”), nuovi organismi burocratici, con le conseguenze che abbiamo già delineato. Noi non abbiamo dato grandi prove di intelligenza da questo punto di vista, ma può darsi che la salvezza arrivi sotto forma di “intelligenza artificiale”. È ciò che sostiene l’inventore e futurista Ray Kurzweil nel suo famoso libro The Singularity Is Near: When Humans Transcend Biology.
La teoria di Kurzweil può considerarsi di fatto un’estensione della legge di Moore a tutti i settori della tecnologia. Prevede uno sviluppo esponenziale di computer, genetica, nanotecnologie, robotica e intelligenza artificiale che porterà, verso il 2045, a una “singolarità” tecnologica, ovvero un punto di non ritorno in cui il progresso, divenuto così rapido da eccedere la capacità umana di comprenderlo, sarà portato avanti in modo sempre più veloce da macchine e algoritmi intelligenti. Le persone godranno comunque delle straordinarie potenzialità offerte da questi progressi con una vita più lunga, potenzialmente infinita, e con la possibilità di migliorare geneticamente il corpo e la mente (alle previsioni di Kurzweil è ispirato il film Lucy, girato nel 2014 con Scarlett Johansson e Morgan Freeman).
Kurzweil crede talmente tanto nelle sue teorie da essersi focalizzato su uno stile di vita mirato ad aumentare le sue probabilità di vivere abbastanza da vedere il giorno in cui la scienza potrà renderlo immortale: dieta, esercizio e oltre 150 pillole di integratori al giorno. E comunque, per la sua storia di inventore e imprenditore di successo, oltre che per la documentazione con cui supporta le proprie idee, è ritenuto credibile da autorevoli organizzazioni scientifiche e tecnologiche: nel febbraio del 2009, è stata creata, in collaborazione con Google e con la NASA, la Singularity University. La missione dell’Università è di «radunare, istruire e ispirare ranghi di dirigenti che lottino per comprendere e agevolare lo sviluppo delle tecnologie in progresso esponenziale e applichino, focalizzino e guidino questi strumenti per rispondere alle grandi sfide dell’umanità». Da un anno è stata aperta una sede anche a Milano.
Personalmente sono affascinato non solo dalla fiducia di Kurzweil nel progresso, ma anche e soprattutto dal suo ottimismo: «abbiamo le persone, le risorse, conoscenze e le tecnologie per risolvere qualunque problema attuale e futuro dell’umanità». Peccato che l’Outlook 2016 dell’OCSE ci informi che per la prima volta in 35 anni la spesa pubblica per R&S nei Paesi sviluppati è diminuita. In particolare in Italia, già fanalino di coda, è passata dal 1,36 all’1,02 del PIL. Per fortuna i Paesi non OCSE stanno recuperando, e effettuano ormai più del 30% della ricerca pubblica mondiale. La Cina spende il doppio del Giappone, ha superato l’Europa nel 2013 e sorpasserà gli USA nel 2020.
Può darsi che Ray Kurzweil, se vorrà realizzare il suo sogno, debba emigrare in Cina. Io spero solo che alla fine l’intelligenza, se non la nostra almeno quella delle macchine, prevalga sulla stupidità.