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Il re nudo storia di quella volta che la rivoluzione si fece nel mezzo

“Si narra che la pesante infrastruttura che sovrasta la testa di uomini e donne da millenni sia stata costruita in epoche lontane da vecchi saggi, per sostenere la vita dell’intera umanità. Con il passare del tempo sostituirono, aggiunsero e manutenerono molte delle sue parti. Tuttavia quando le lune si facevano troppo grandi e le lingue dei popoli aride e taglienti, il volume d’acqua che scorreva nei tubi aumentava d’improvviso, allagando diverse stanze nei vari angoli del globo. La tradizione dei vecchi uomini con la barba esigeva, in quelle giornate di alluvione, l’aiuto dei giovani dalla pelle liscia e lucente. Essi riempivano grandi secchi, mentre i vecchi lanciavano stracci in ogni angolo della stanza. Si ripeteva tutto come un rito ipnotico da generazioni, finché un giorno, un esile corpo ricurvo verso terra, si raddrizzò e disse:

«Perché non ripariamo i tubi, invece di raccogliere l’acqua per poi ributtarla nelle stesse tubature? Ormai questi angoli sono tutti ammuffiti.»

Seguì un silenzio assordante e nonostante quella domanda modificò definitivamente il corso della storia, dando vita a rivolte, assedi e muraglie difensive, non si trovò mai la giusta lettera da cui ripartire.

Quella fu la prima delle tante volte in cui il vulcano, insito nel profondo di quei giovani corpi, eruttò. Ogni volta cospargeva di cenere tutto quanto, prima di tornare a tacere per anni.”

Ho ritrovato questo racconto tra i libri impolverati di mio nonno.

E mentre scorro nei dettagli di quella civiltà inventata che aveva come unico scopo quello di curare e preservare l’impalcatura, mi viene in mente che anche noi oggi, dopo tutto, stiamo annegando.

E sì, questa crisi è proprio un aumento improvviso del volume d’acqua, di cui non si conosce la ragione, ma si poteva prevedere l’arrivo, d’altronde si sa che ogni cento tramonti le lingue dei popoli si fanno più aride.

L’infrastruttura, costruita nel tempo dall’esperienza dei vecchi uomini con la barba, è sempre stata la culla in cui sono nati e cresciuti tanti giovani dalla pelle liscia, ma oggi si rivela inadatta per contenere le loro nuove esigenze. Negli anni, infatti, è diventata pesante, forse a causa delle troppe sovrastrutture, fino a causare irrecuperabili fratture.

La metafora del asciugare gli angoli delle stanze e del ributtare l’acqua nelle stesse tubature, richiama all’atto di tamponare il disastro invece che affrontarlo alla radice. Tale processo, infatti, richiederebbe un dibattito ben più ampio delle già complesse scelte sulle misure per
aumentare la sicurezza sociale, risollevare l’economia nazionale, evitare di infrangere la legge generale e contenere una politica alquanto teatrale.

Quel dibattito, richiederebbe uno sforzo di ricerca, di rinnovamento, di creatività e di conoscenza che farebbe molta paura ai vecchi con la barba e che forse, raramente, verrebbe in mente ai giovani dalla pelle ancora troppo liscia. Infatti, riparare le fratture significherebbe riformulare in modo chiaro i valori che guidano le scelte del Paese, significherebbe solidarietà, trasparenza e onestà. Significherebbe anche andare a cercare le radici degli stessi valori che hanno portato alla costruzione di quella infrastruttura, per conservarne, una volta per tutte, la loro memoria.

Purtroppo, la storia racconta solo lo sforzo e le conseguenze di quella testa sollevata, vecchia metafora della presa di coscienza, ovvero la capacità di percepire la propria condizione e portarla al di fuori del proprio contesto. Questa presa di coscienza avviene dentro il corpo di un giovane che ancora non ha visto sufficienti inverni per avere una barba bianca ma che possiede l’energia da cui nascono nuove vite.

Il racconto si esaurisce senza una vera e propria risoluzione al caos generato da quella domanda. Uno dei motivi principali fu proprio perché quella presa di coscienza non si trasformò mai in una azione di ricostruzione coesa, ma diventò, lasciata in sordina, pretesto per la lotta tra due fazioni.

Ognuna delle due generazioni aveva armi e debolezze diverse: i giovani possedevano fuoco e ingenuità, mentre i vecchi furbesche tane e molta paura di perdere le terre conquistate.

Non ci fu, quindi, un vincitore e quel mondo non vide i colori di una nuova alba.

Questo finale lascia aperto un grande interrogativo: se lo scontro non è la soluzione alla crisi, se non rappresenta in modo assoluto il punto di partenza per il progresso, quale può essere il finale risolutivo a questa storia? Come è possibile sfruttare nel modo migliore la coscienza che nasce, ed è nata, da un momento di crisi? Come impedire la creazione di nuove lotte e divisioni? Quali sono le migliori strategie per preparare il terreno alla riqualificazione di una nuova infrastruttura, alleggerita dal superfluo ma senza perdere la memoria delle antiche costruzioni?

Forse la risposta è già scritta tra le righe di questa crisi, che ha messo in evidenza debolezze e inadeguatezze del sistema in cui ci muoviamo, chiedendo a gran voce un nuovo assetto sociale.

In controtendenza alle classiche soluzioni post crisi che vogliono proclamare un vincitore, in controtendenza alle classiche rivoluzioni che vedono le masse danzare sui cadaveri, in questo articolo vogliamo proporre una profonda riflessione sulla coesione sociale come unico patto risolutivo all’avvento di una nuova era.

Per la prima volta nella storia, ancor più delle grandi guerre, questa crisi ha assunto una dimensione globale, toccando ogni angolo del pianeta. Se da un lato questo porterà a ripercussioni senza eguali sull’economia mondiale e quindi sulla difficoltà di una ricostruzione, dall’altro prepara il terreno per una sensazione nuova. La primavera di questa sensazione sboccia nella possibilità di sentirsi parte di un destino comune, una massa unica che avverte nella sua totalità ogni sconfitta.

La sensazione di percepirsi uno all’interno di una moltitudine è la premessa fondamentale per favorire l’individuo nel processo di svestizione dall’attaccamento alle proprie convinzioni. Questo rito di decomposizione del ego permette, nella sicurezza di non perdere la propria individualità, di accantonare le proprie idee e i propri modelli per discutere insieme a chi la pensa diversamente il disegno di una nuova società.

In questo processo, il primo strato che va sedimentandosi è rappresentato da un sentimento di amore nei confronti dell’uomo solo ed esclusivamente perché ha la dignità di essere umano.

La coesione, come unica soluzione alla riforma sociale, si muove su diversi livelli: da quello internazionale, a quello del singolo nucleo familiare, da quello partitico a quello generazionale.

L’immagine più evocativa infatti, in contrasto con quella dei “vincitori” che danzano sui cadaveri, è quella dei giovani capaci di prendere sulle proprie spalle i “vecchi con la barba”, senza lasciare indietro nessuno.

Come nella giullarata de Il Cieco e lo Storpio raccontata da Dario Fo, anche questa nuova unione avrà forti gambe e lucidi occhi. I giovani infatti hanno dentro di loro, non solo l’energia di avanzare, ma anche quella di battere nuovi terreni, mentre i vecchi con la barba (espressione addolcita) possiedono la memoria delle conquiste passate, nonché la capacità di vedere ben oltre il presente tangibile.

Riadattando le parole di Vittorio Foa rilasciate in un’intervista RAI, questo patto di coesione tra fazioni dello stesso colore può avviarsi solo ed esclusivamente attraverso un processo di speranza. La speranza infatti rappresenta quel sentimento che ci mantiene in tensione verso una determinata meta.

Tale tensione è sostenuta da due azioni principali: la prima, da parte della classe più vecchia, tramite l’insegnamento e la trasmissione profonda del senso e la seconda da parte della classe nuova attraverso la scelta.

Sì, perché oggi la partita si gioca nella scelta del giusto modello di consumo, nella scelta delle nuove politiche di lavoro, nella scelta di non cedere a nuovi “finti” valori, ma lasciare spazio a quelli da riscoprire, nella scelta equilibrata tra meritocrazia e democrazia.

Scelte che, in quanto tali, prevederanno delle conquiste e delle rinunce, ma che potranno essere affrontate solamente coesi, in una nuova rivoluzione copernicana dei sentimenti, basata su ingredienti quali la tolleranza e l’empatia, catalizzatori di una reazione in grado guidare all’immagine di un mondo nuovo.

La capacità di coagulare gli sforzi per risolvere problemi comuni, presuppone la capacità di sentire nella medesima maniera, e in questo sentire comune, trovare quella molla che spinga ad accantonare il “proprio particolare” per un “benessere collettivo” che promuove quello del singolo individuo.

E forse, in questa capacità di sentire oltre i propri confini sarà possibile allontanarsi un pò dalle proprie meschinità, trovando nelle vulnerabilità di ognuno la leva per accedere ad una dimensione ulteriore, fatta di creatività e unione.

Ma dove fallisce questa coesione?

Semplice: se il vecchio con la barba mina il cammino del giovane al fine di farlo inciampare logorando le sue energie, o se per paura si copre gli occhi nascondendo consigli preziosi.

Semplice: se il giovane con la pelle lucida si ostina a non voler ascoltare i consigli del vecchio con la barba ritenendolo ormai inutile, o per pigrizia smette di camminare.

Semplice: se l’uomo, vinto dalle proprie paure, cerca di censurare le sue debolezze e le sue fragilità, di non vedere quei tubi che perdono e stremato dal raccogliere l’acqua smette di sperare, finché qualcosa si spezza rianimando lotte e separazione.

Ogni volta che torno a casa, passeggio per un po’, in silenzio, davanti alla mia libreria, riscoprendo i libri che hanno definito i miei contorni. Questa mattina, ne ho preso uno molto vecchio, era di mio nonno, la copertina rigida rosso bordeaux e le pagine ingiallite. Mentre lo sollevavo è caduta una pagina, staccata dalle altre.

Recitava così: “E l’alba di una nuova luna venne. Ormai esausti i vecchi dalla barba bianca e i giovani dalla pelle lucente si guardarono per la prima volta negli occhi, e nelle iridi gli uni degli altri videro riflesse le stesse preoccupazioni, gli stessi desideri, la stessa voglia di costruire un mondo migliore. Gettarono le armi e posero le fondamenta dei comandamenti di un nuovo patto sociale: La Rivoluzione Si Fa nel Mezzo. In quel punto di incontro nato non dalla lotta contro un nemico comune ma per la costruzione di un bene comune”.