Un buon cattivo fa una buona storia. È una massima che si può trovare in qualsiasi manuale di scrittura creativa. Nelle storie interessanti l’azione del protagonista è mossa da un problema o un conflitto; un antagonista, ossia la personificazione del conflitto, è uno dei metodi più efficaci per far procedere la storia e catturare l’attenzione dello spettatore.
Gli antagonisti esistono anche nella realtà. E nella realtà, come nella finzione, causano problemi che devono essere risolti. In campo lavorativo, ad esempio, sono le persone che competono con noi per lo stesso posto di lavoro o, all’interno di un’azienda, per la stessa promozione; a livello “macro” sono le aziende che competono per la stessa fetta di mercato. Nella vita privata sono i rivali d’amore o quelli sportivi, insomma, qualsiasi persona entri in conflitto con noi per qualsivoglia ragione. L’errore più comune che si compie è quello di pensare ai rivali come a entità malvagie: basta riflettere sulla natura della rivalità come opposizione di due persone per capire che noi e il nostro rivale siamo sullo stesso piano, due persone molto probabilmente comparabili, con i nostri pregi e i nostri difetti. Certo, è sempre possibile trovare sulla propria strada una persona sleale che gioca sporco, ma… se quella persona fossimo noi?
Diversi film trattano il tema della rivalità, ed è sempre interessante studiare nelle opere di finzione come vengono risolti o superati i conflitti, perché quelle soluzioni sono spesso applicabili, con la giusta interpretazione, anche nella realtà.
Amadeus di Milos Forman (1984) è una storia di rivalità sui generis, perché entrambi i rivali hanno diversi elementi caratteriali negativi, ma tra i due quello più nettamente connotabile come “cattivo” è il protagonista. Il film racconta la nascita e crescita di un’ossessione. Antonio Salieri è un devoto e mite compositore di corte dell’imperatore Giuseppe II. La musica è la sua passione sin dall’infanzia e con impegno e dedizione l’uomo riesce a costruirsi una soddisfacente carriera di compositore. Ma quando la vita mondana di Vienna viene sconvolta dall’arrivo del geniale compositore free-lance (passatemi il termine moderno) Wolfgang Amadeus Mozart, Salieri si rende conto di non avere nemmeno metà del talento del giovane uomo, e la sua vita viene corrosa dall’invidia. Mozart, dal canto suo, non fa nulla per risultare simpatico a Salieri, anzi lo provoca con i suoi modi irriverenti e prese in giro alle sue composizioni. Incapace di affrontare le proprie emozioni, Salieri svilupperà una vera e propria ossessione per Mozart e la spirale di sentimenti negativi trascinerà sul fondo entrambi gli uomini.
La storia è una pura invenzione senza alcuna base storica (e Salieri è un compositore eccellente, molto migliore di ciò che il film vuole far credere), ma non è la veridicità storica quella che ci interessa, quanto piuttosto quella narrativa: il film è un’ottima dimostrazione di quello che succede se ci si lascia accecare dall’invidia. È inevitabile, nella vita, conoscere persone più talentuose. La risposta naturale nei confronti delle persone di talento è l’invidia. Ma l’invidia deve trasformarsi in una spinta al miglioramento, non in un pozzo in cui macerare il proprio desiderio di distruzione dell’avversario, atto che non porta e non può portare alcunché di buono a chi lo compie.
Lo impara a proprie spese il protagonista di un altro film, l’amatissimo lungometraggio animato della Disney Pixar Toy Story (John Lasseter, 1995). Quando il bambino Andy riceve in regalo un nuovo bellissimo giocattolo tecnologico (il ranger spaziale Buzz Lightyear), il suo vecchio giocattolo preferito (il cowboy Woody), si sente messo in disparte e sviluppa un forte risentimento nei confronti del suo nuovo rivale. È un po’ la situazione in cui si trova qualsiasi bambino quando nasce un fratellino o una sorellina: le attenzioni che i genitori rivolgono al nuovo nato possono far nascere sentimenti di ostilità nel fratello o nella sorella maggiore. Woody asseconda questi sentimenti e nel cercare di nascondere Buzz dentro un cassetto, lo spinge accidentalmente fuori dalla finestra. A differenza di Salieri in Amadeus, Woody si rende immediatamente conto del suo errore e il film è la storia di come cerca di rimediare attraverso mille peripezie. Alla fine del film Woody capisce che il nuovo arrivato è un bravo giocattolo, e che non ha senso porsi nei suoi confronti come un rivale, può diventare suo amico. Inoltre Andy non vuole meno bene a Woody solo perché vuole bene anche a Buzz. La morale è suggellata dalla famosa canzone che Woody canta sui titoli di coda, Un amico in me (You’ve got a friend in me, Randy Newman).
Quale ambientazione migliore dello sport per descrivere una rivalità?
Comincerò da un film un po’ anomalo, perché si tratta di una parodia: la commedia Blades of Glory – Due pattini per la gloria (2007, diretto da Will Speck e Josh Gordon). La storia è ambientata nel mondo del pattinaggio su ghiaccio e prende in giro tutti i cliché tipici dei film sportivi. I protagonisti sono l’opposto uno dell’altro: Chazz è la rockstar del pattinaggio, un virile e grezzo sciupafemmine interpretato da un improbabile Will Ferrel, Jimmy, all’opposto, è considerato apoteosi della grazia e dell’eleganza, ed è interpretato dall’efebico Jon Heder. I due sono dipinti come geniali innovatori dello sport, ognuno a modo suo. Ovviamente si detestano: Chazz pensa che Jimmy sia un pusillanime effemminato, mentre Jimmy pensa che Chazz sia un volgare rozzone. E quando a una competizione vengono giudicati primi a parimerito la rissa sanguinosa che scoppia tra i due (che non vogliono condividere il premio) li fa entrambi eliminare per sempre dalle gare di singolo. Di nuovo la stessa morale: chi cerca di distruggere il proprio avversario, anziché affrontarlo lealmente, finisce per essere distrutto egli stesso. I due pattinatori capiranno che il loro talento può essere messo a frutto stringendo un’alleanza, anziché combattendosi all’ultimo sangue: resisi conto che la messa al bando riguarda solo il singolo, decidono di unire i propri talenti e diventare un tanto irresistibile quanto esilarante duo di pattinaggio a coppia.
Molti film sportivi esplorano il tema della rivalità come scontro leale tra due contendenti, mostrando come il desiderio di rivalsa e annullamento dell’avversario possa essere sublimato nel miglioramento di se stessi. Il più recente è Borg McEnroe (regia di Janus Pedersen), che uscirà in autunno nelle sale italiane. Il film racconta, romanzandola, l’epica rivalità tra il tennista svedese Bjorn Borg e l’americano John McEnroe, il primo dipinto come freddo e metodico, il secondo focoso e passionale (la loro rivalità era stata definita dai giornalisti Fire and Ice, ghiaccio e fuoco).
Simile come concetto e tematiche il film del 2013 Rush (regia di Ron Howard), che racconta della rivalità tra i piloti di Formula 1 Nikki Lauda e James Hunt. Anche qui la trama gioca sul contrasto di personalità tra i due protagonisti: da un lato il freddo, metodico e riservato Lauda dall’altro il focoso, avventato e impertinente Hunt. Questo film esplora in maniera interessante anche il calo di motivazione che può colpire chi improvvisamente si trova a non dover più affrontare il proprio rivale di una vita. È una problematica che colpisce chiunque si concentri troppo sull’altro, anziché su se stesso, cioè quando lo scopo diventa “battere qualcuno” anziché “essere il migliore”.
La tematica della compezione agguerrita ma leale è sottesa anche al famosissimo blockbuster degli anni ottanta Top Gun (1986 – regia di Tony Scott), in cui i nomi stessi dei protagonisti esemplificano la tematica “ghiaccio e fuoco”: da un lato lo scapestrato Maverick, parola che in inglese significa anticonformista o “cane sciolto”, dall’altro Ice Man, letteralmente l’uomo di ghiaccio. È uno scontro di personalità tra il ragazzo sopra le righe, che i superiori faticano a tenere sotto controllo, e il pilota campione di volo che segue sempre scrupolosamente le regole. Competendo con Ice Man, Maverick imparerà i limiti della propria personalità, le conseguenze anche tragiche della competizione, e ad affrontare le proprie paure, mentre Ice Man, infine, imparerà a rispettare Maverick. Una dimostrazione un po’ retorica ma perfetta che una competizione, se affrontata nel modo giusto, può essere un’occasione di crescita per entrambi i contendenti.